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Lisbona è ancora lontana: il tasso d’occupazione in Italia è pari al 58,7 per cento, ben inferiore alla media dei paesi Ue (65,4 per cento), gli obiettivi fissati per il 2010 sono falliti. Intanto, continua a crescere il divario territoriale e nel Mezzogiorno l’effetto scoraggiamento ha causato negli ultimi sette anni un aumento dell’8 per cento dei cosiddetti inattivi, cioè coloro che rinunciano a cercare un impiego. È quanto emerge dal Rapporto 2008 dell’Isfol presentato oggi a Roma, che disegna uno scenario non positivo: l’andamento dell’occupazione nel primo semestre 2008, si legge, “mostra chiari segnali di rallentamento che riflettono una crescita dell’economia ormai prossima allo zero”, aggravata da una flessibilità contrattuale che può “determinare un arresto del processo espansivo dell’occupazione”. E la particolare debolezza del nostro mercato del lavoro rispetto ai partner europei accresce tale rischio, almeno nel Mezzogiorno.
L’integrazione degli stranieri. La crescita dei livelli occupazionali in Italia, prosegue il dossier, è proseguita nel 2007 (sebbene con ritmi più contenuti rispetto al passato), raggiungendo quota 23 milioni 222 mila, massimo storico dal 1992. Ma ciò è avvenuto soprattutto grazie al “contributo rilevante della componente straniera”, dice l’Isfol, cresciuta di 154 mila unità (66 per cento dell’aumento degli occupati nel 2007 rispetto all'anno precedente). Dunque, la quota di lavoratori stranieri sale al 6,5 per cento nel 2007 rispetto al 5,9 per cento del 2006.
Soliti problemi per i giovani, le donne e il Sud. Il basso tasso di occupazione è dovuto all’apporto insufficiente delle regioni meridionali (dove raggiunge solo il 46,5 per cento), mentre il Nord-Est (con il 67,6) e il Nord-Ovest (66) registrano valori superiori alla media europea. Al Sud troviamo anche un alto tasso di disoccupazione (11 per cento) quasi doppio rispetto a quello medio nazionale (6,1). Nel mercato del lavoro italiano permangono poi i ben noti squilibri di genere: il tasso di occupazione femminile supera di poco il 45 per cento (l’obiettivo della Strategia di Lisbona è del 60 entro il 2010) mentre quello maschile sfiora il 70. Difficile la situazione anche per i più giovani: l’andamento dell’occupazione per classi di età evidenzia come i 18-24enni (6,4 per cento degli occupati) presentano gli indicatori peggiori di ogni altra fascia, con un tasso di disoccupazione al 20,3 per cento.
Il sommerso riguarda soprattutto il lavoro maschile, e coinvolge precisamente 1 milione e 480 mila lavoratori, pari al 58,4 per cento dell’occupazione irregolare totale. Le quote più elevate si registrano nel settore dei servizi (64 per cento), nel Mezzogiorno (50,3), tra gli italiani (69), in relazione a titoli di studio bassi (55) e a un’età superiore ai 30 anni (54). In tre casi su quattro, la forma principale d'irregolarità è da attribuire all’assenza di contratto, mentre per il 25 per cento dipende dalla mancata applicazione degli istituti contrattuali (orari, mensilità aggiuntive, contributi), pure in presenza di un contratto scritto. Quasi quattro intervistati su dieci, infine, dichiarano di svolgere attività in condizioni irregolari perché non hanno trovato un altro lavoro.
Allarme povertà per i minori. L’Italia è il paese a più alta incidenza di povertà in particolare in quella infantile, e risulta anche tra i paesi con la maggiore intensità di lavoro minorile. L’Isfol, citando un rapporto della Commissione europea, sottolinea come nel nostro paese “il 24 per cento dei minori sia a rischio povertà”. Una quota che sale fino al 35 per chi vive in famiglie numerose e che raggiunge addirittura il 40 per cento nei casi dei minori che vivono in famiglie monoparentali.