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“Noi non siamo gli invisibili”, ha detto Teresa di Potenza, come tanti altri lavoratori e lavoratrici in piazza a Roma questa mattina per la manifestazione nazionale Multiservizi. Una categoria bistrattata, dimenticata, con un contratto scaduto da 72 mesi, abituata a vedere – tra un cambio di appalto e l’altro – gli orari ridursi, i salari assottigliarsi, la precarietà non finire mai. Abbiamo ascoltato le loro voci.
Flora, Brescia
Oggi sono qui perché condivido le tematiche che hanno portato in piazza questa organizzazione, anche se io ho un altro tipo di contratto, quello del commercio. Condividiamo appieno le ragioni di questa protesta e per solidarietà siamo partiti da Brescia e abbiamo deciso di venire qui stamattina. Quanto sta succedendo alla Multiservizi potrebbe sempre succedere, un domani, anche a noi e non siamo poi così lontani da questa ipotesi: è una situazione vergognosa, non si può strumentalizzare la questione della malattia, barattare diritti fondamentali acquisiti nel tempo e tornare drammaticamente indietro. Ed eludere un contratto che manca da troppo tempo.
Rosa, Empoli
Sono qui per unirmi alle tante persone che come me sono penalizzate, sfruttate nel loro lavoro, sfruttate da tutti i punti di vista, anche quello dei diritti umani. Lavoro per le mense scolastiche e per quattro mesi l’anno il nostro lavoro è sospeso e non percepiamo né lo stipendio né i contributi per la pensione. Oltre a questo abbiamo subito tante riduzioni di orari. C’è bisogno di un cambiamento radicale, generale, in questo Paese: un cambiamento dal punto di vista occupazionale, ma anche un cambiamento dal punto di vista umano, perché dietro tutte le persone che vedono ridotti i loro orari di lavoro, che vedono ritrarsi un po’ alla volta i loro diritti, o che perdono il lavoro da un momento all’altro, come sta succedendo per Mercatone Uno, ci sono altre persone che dipendono la loro, ci sono le loro famiglie. Ci vuole più umanità.
Teresa, Potenza
Siamo qui oggi a scioperare per i nostri diritti, per il salario. Siamo stanche che ad ogni cambio di appalto ci venga decurtato qualcosa dalla busta paga: una giornata, un’indennità domenicale, una festività. E, nel frattempo, il carico di lavoro diventa sempre maggiore: più lavoro, meno ore, meno persone e meno salario. I lavoratori delle pulizie sono i più penalizzati, ma noi non siamo gli invisibili, abbiamo un ruolo fondamentale negli appalti: per questo vogliamo essere tutelati maggiormente e vogliamo una rivalutazione della nostra busta paga. Sono 72 mesi che siamo senza contratto, basta, ne vogliamo uno nuovo.
Aziz, Bolzano
Vengo dall’Afghanistan, sono in Italia da 11 anni e lavoro per una cooperativa. Siamo qui oggi perché vogliamo che siano riconosciuti i nostri diritti. Siamo magazzinieri, il nostro è un lavoro faticoso e non siamo pagati abbastanza: dovrebbero provarlo un giorno per capire cosa facciamo. I miei colleghi sono quasi tutti stranieri e tanti di loro non capiscono le leggi e non conoscono i loro diritti. Una volta la cooperativa è fallita e abbiamo dovuto pagare la nostra parte dei debiti accumulati, qualcuno 3.000, qualcuno 4.000 euro: è stato difficile spiegarlo a chi non parla ancora bene l’italiano e non ha chiaro come funzionano le cose qui. Ogni quattro anni la ditta cambia e con lei cambia anche la paga base. Non va bene così, vogliamo un nuovo contratto, vogliamo il rispetto dei nostri diritti fondamentali. Devono essere felici tutti.
Cristian, Forlì
Sono un operatore della logistica dell’ospedale di Forlì. Questa è una giornata importante per me, perché è la prima volta che riesco ad aderire a uno sciopero e partecipare a una manifestazione: oltre a non avere un contratto rinnovato, la mia categoria fino all’altro ieri non poteva neanche scioperare, perché il nostro lavoro era così fondamentale che senza di noi sembrava l’ospedale crollasse. Scioperavano tutti - operatori socio sanitari, infermieri, dottori - ma gli addetti alla logistica no. Sono qui per far valere il mio diritto di manifestare per il mio contratto, ma anche perché sei anni fa il mio stipendio era più alto. In questi anni sono stati tagliati gli orari, i carichi di lavoro sono aumentati e la forza lavoro è diminuita. Vorrei che si arrivasse alla fine di questo percorso di lotte e di contrattazione, e che venisse abbandonata l’ipotesi dei fatidici tre giorni di malattia non retribuiti. Non tanto per la mia categoria, quanto per le mie colleghe, donne che a 60 anni lavorano ancora in mezzo all’umidità e si spezzano la schiena. È ovvio che le malattie aumentino, il ricambio del personale non c’è, le donne che lavorano sono sempre più avanti con l’età e soggette ad ammalarsi: non pagare i primi tre giorni di malattia significa caricare sui lavoratori quelli che saranno i costi dell’aumento del contratto, ed è inaccettabile.
Daniela e Marina, Roma
Lavoriamo al San Camillo, siamo addette alla distribuzione dei pasti ai pazienti. Siamo qui per il rinnovo del contratto e perché le associazioni datoriali stanno facendo un braccio di ferro con i sindacati per toglierci tutti i nostri diritti. Addirittura adesso infieriscono sul diritto della malattia. Abbiamo un impiego part-time, parcellizzato, poche ore di lavoro in ambienti che ci mettono a rischio dal punto di vista della salute e della sicurezza, che continuano a non essere tutelate per risparmiare. Sottrarci tre giorni di malattia, considerando le condizioni in cui lavoriamo, significa ledere dei diritti sacrosanti e inviolabili, per i quali abbiamo lottato anni. E per cosa, per una contropartita - forse - di 43 centesimi l’ora. Non andiamo a patti con nessuno, a costo di perdere ore nei nostri salari: perché i nostri sono salari, non sono stipendi, ci sono lavoratrici che hanno part-time di due ore al giorno, portano a casa 250 euro e in caso di malattia si troverebbero ancora più in difficoltà. Dateci quello che ci spetta di diritto, perché siamo stanche.
Antonio, Palermo
Lavoro all’ospedale Civico di Palermo e oggi mi ritrovo per l’ennesima volta a manifestare per il contratto, e per tante altre cose. Ogni cambio di appalto porta nuovi problemi: diminuiscono le ore lavorative, diminuisce il salario, mentre il lavoro resta lo stesso.Il nostro ospedale è grandissimo e la tempistica di lavoro è diventata massacrante: con l’ultimo cambio di appalto 140 lavoratori sono passati a sole tre ore al giorno, 15 ore settimanali, e in tre ore devono pulire due reparti enormi. In questo modo, per forza di cose, la pulizia non può essere fatta bene. I problemi sono seri, per i lavoratori e per l’utenza. Mio padre è stato partigiano per un paio di anni in Emilia, la cosa che mi fa arrabbiare è che loro, con le loro battaglie, ci hanno lasciato una situazione seria, dignitosa, io rischio di lasciare i miei figli in una condizione completamente diversa. I diritti fondamentali vengono messi in discussione seriamente, se i lavoratori non si mettono in testa di lottare quotidianamente per riaffermare i loro diritti e riacquisirne di nuovi, ci massacreranno. Dobbiamo riaffermare i principi seri e lottare per mantenere quello che abbiamo ottenuto.