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Non solo edilizia, ma anche cemento, laterizi, lapidei, legno: il 15 marzo tutto il settore delle costruzioni si mobilita con uno sciopero generale unitario – Fillea Cgil, Filca Cisl e Feneal Uil – e una grande manifestazione nazionale a Roma, a piazza del Popolo. Incontriamo Alessandro Genovesi, segretario generale della Fillea, a pochi giorni da un appuntamento così importante e dopo le tantissime assemblee organizzate in tutta la Penisola per illustrare le motivazioni di un’agitazione che per i sindacati non era più differibile. “Il clima tra i lavoratori – spiega il sindacalista – è abbastanza buono, anche se uno sciopero generale di tutti i settori delle costruzioni non per una specifica rivendicazione, ma per chiedere politiche industriali mirate, maggiori investimenti, sblocco dei cantieri, nuove politiche per la casa e le città, rappresenta senz’altro una novità. All’inizio c’era un po’ di freddezza, ma poi – dopo aver spiegato che, se non riparte l’intero comparto e non si torna ad investire, non riusciremo né a difendere lavoro e salari di chi oggi è occupato né a dare una risposta ai milioni di disoccupati – è scattata una grande voglia di partecipare e di lottare.
Avete presentato una piattaforma molto articolata al centro della quale c’è lo sblocco delle opere ferme – piccole o grandi che siano – per recuperare i 600.000 posti di lavoro lasciati sul terreno. Il vostro è dunque di fatto uno sciopero contro il governo…
Genovesi Noi non scioperiamo mai contro qualcuno a prescindere, anche perché lo sciopero ai lavoratori costa. Scioperiamo per chiedere quello che serve ai lavoratori e ai disoccupati, non solo agli edili o a quelli che producono cemento, legno, marmo, tegole eccetera. Sbloccare i cantieri delle nuove opere, così come garantire la manutenzione di quelle esistenti, serve al sistema Paese. È importante certamente per gli edili, per rilanciare le nostre fabbriche che producono materiali per le costruzioni, ma anche per tutti i lavoratori che producono merci che si devono spostare, magari inquinando e costando di meno. Serve a decongestionare le città e quindi a migliorare la vita di tutti. Serve a garantire nuovi insediamenti produttivi nel Sud e nelle aree depresse. Serve a mettere in sicurezza territori fragili che, a fronte di cambiamenti climatici impressionanti, quando piove o tira vento vanno in tilt. Serve a garantire maggiori e migliori flussi turistici. Serve, infine, a rilanciare le nostre periferie, a renderle centri vitali dal punto di visita economico e sociale. Il governo, invece, ha ridotto gli investimenti nei nostri settori, manca di una strategia industriale complessiva, non premia chi investe in innovazione, non qualifica le stazioni appaltanti pubbliche e blocca addirittura i cantieri aperti. Sta sbagliando e noi vogliamo fargli cambiare idea perché sta facendo un danno al Paese.
L’Italia soffre di una mancanza cronica di investimenti pubblici e privati. Per creare lavoro non basta sbloccare le opere già in cantiere, ma occorrerebbe attirare maggiori investimenti, anche privati. Avete delle proposte, sul tema, per quanto riguarda il vostro settore?
Genovesi Assolutamente sì. Innanzitutto occorre mettere a sistema quello che c’è: i vari incentivi per la rigenerazione, il sisma bonus, il bonus mobile, il risparmio energetico. Rendendo tutti questi incentivi “cedibili” in termini finanziari (così da aggredire condòmini e incapienti, spesso persone anziane), e magari legandoli al rispetto del contratto collettivo di lavoro e alla congruità (cioè vi deve essere un rapporto tra gli importi dei lavori – e quindi gli incentivi che si incassano – e un numero minimo di lavoratori), combattendo così lavoro nero e irregolarità. Poi servono nuove norme urbanistiche che permettano interventi di rigenerazione pesante, compreso l’abbattimento e la ricostruzione, e c’è bisogno di una leva pubblica che, a parità di appalto, premi i nuovi materiali, avviando così un circuito virtuoso, dal riciclo delle macerie all’uso di nuove malte cementizie, laterizi di nuova generazione eccetera. Il futuro non è nel consumare altro suolo, ma nel riqualificare l’esistente e renderlo più bello e fruibile. Occorre poi uno strumento finanziario ad hoc per affrontare il tema della riduzione del credito verso le imprese del settore. Oggi le principali aziende delle costruzioni (che danno lavoro poi a migliaia di piccole aziende e fornitori), come Astaldi, Condotte, Tecnis, Glf, Trevi eccetera, hanno in pancia miliardi di lavori già assegnati, ma non avendo liquidità non riescono a mandare avanti i cantieri. Se poi aggiungiamo i tempi lunghi di pagamento da parte della pubblica amministrazione, appare evidente che serve uno strumento finanziario che garantisca investimenti “pazienti”. Per questo chiediamo un ruolo attivo di Cassa depositi e prestiti. La vicenda Salini Impregilo che, anche con il sostegno di Cdp, punta a salvare e rilanciare Astaldi, è la dimostrazione che questo si può fare, a vantaggio di tutti.
In questi mesi il governo non ha fatto quasi nulla, se non innalzare la soglia esente da gara negli appalti pubblici e annunciare una revisione del Codice degli appalti che sarebbe troppo burocratico. L’ottica sembra la solita neoliberista: sciogliere le briglie al cavallo sperando che, in un modo o nell’altro, corra più veloce. Cosa ne pensi?
Genovesi Il nuovo Codice degli appalti (il dlgs 50/2016) ha sistematizzato parecchio, anche rispetto alle direttive comunitarie. Ha sposato la logica della qualità nella progettazione e nella realizzazione (i cosiddetti “appalti verdi”), eliminato “mostri” come il General Contractor e la “variante allegra” (che faceva lievitare i costi e aumentare le incompiute) e soprattutto – superando la berlusconiana legge Obiettivo – ha garantito un equilibrio, per quanto parziale, tra progettazione, esecuzione e collaudo, con una maggiore trasparenza nel mercato e tutela dei lavoratori. In riferimento a questo ultimo punto, è importante il limite del 30 per cento sui subappalti, il rispetto dei Ccnl in base all’attività prevalente, le clausole sociali, la valorizzazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Quindi non è vero che il Codice avrebbe rallentato gli appalti…
Genovesi Tutto si può migliorare, soprattutto in termini di procedure. Penso ai passaggi al Cipe, al superamento dell’estrazione delle imprese, all’obbligo di garanzie fideiussorie solo per chi arriva tra i primi, alla distinzione anche tra componente innovativa e componente di costo, quando parliamo per esempio di manutenzione ordinaria eccetera. Ma quello che nessuno dice è che, dopo due anni, il Codice era stato metabolizzato e gli appalti assegnati cominciavano a crescere. Il tema vero mai affrontato, anche dal passato governo, era ed è la qualificazione delle stazioni appalti, cioè di quegli uffici dei lavori pubblici degli enti locali, del Genio civile e così via che, avendo perso – per colpa del blocco del turn-over – migliaia di geometri, architetti e ingegneri, oggi non sono più in grado di mettere in esecuzione cantieri per cui le risorse magari sono disponibili. Se vogliamo dirla tutta, se proprio si vogliono accelerare i piccoli cantieri, andrebbe ripensato il processo autorizzativo e la stessa responsabilità dei dirigenti delle pubbliche amministrazioni. Se un ente locale usa il “bando tipo” dell’Anac o del Mit, deve essere “protetto” da eventuali interventi successivi per danno erariale, ovviamente al netto del dolo o della corruzione. Insomma, il tema non è ridurre le tutele di chi lavora negli appalti, ma mettere in condizioni le stazioni appaltanti di fare presto e bene i propri compiti.
Nel 2012 la Cgil aveva lanciato un Piano del lavoro molto ambizioso che aveva al suo centro proprio la cura del territorio, le infrastrutture, la manutenzione. Credi che sia uno strumento da rilanciare, magari coinvolgendo maggiormente Cisl, Uil e controparti?
Genovesi Di fatto la piattaforma del nostro sciopero generale unitario è una parte del Piano del lavoro, perché tiene insieme grandi e piccole opere e il tema degli investimenti; e anche perché rimanda a un ruolo sia programmatorio che di intervento diretto del soggetto pubblico. Non solo: mette al centro la leva degli incentivi verso i privati in un’ottica di economia circolare, green building, politiche per la casa. Ed è pensata partendo dal territorio, dalla sua sicurezza e valorizzazione, con “il lavoro che crea lavoro”, attivando circuiti virtuosi neokeynesiani. Il tutto aggredendo il tema di quale modello di sviluppo e di quale produttività abbiamo bisogno.
In che senso?
Genovesi La produttività di sistema è data da reti efficienti che riducono il costo dell’energia; da un apparato logistico e infrastrutturale efficace per tempi e costi; dalla sicurezza fisica di un insediamento produttivo (che non può fermarsi per due gocce d’acqua o una piccola scossa di terremoto); dalla produzione di “beni relazionali” che solo un contesto urbano non degradato può garantire. È data, infine, da città e quartieri che si ripensano per venire incontro ai bisogni demografici di un Paese che è cambiato e dove ci sono più anziani e meno famiglie numerose. Questi “driver”, insieme alla maggiore efficienza della macchina amministrativa, alla formazione e alla ricerca, sono ciò che fa aumentare la produttività e il valore delle merci e dei servizi. O creiamo (e difendiamo) l’occupazione per questa via, oppure la competitività sarà data solo da una riduzione del costo del lavoro, che tradotto vuol dire ancora più precarietà, meno diritti, meno salario. Da sindacalista aggiungo: se non facciamo ripartire i nostri settori ampliandone la ricchezza, faremo fatica anche a rinnovare i Ccnl (in questo momento sono aperti i rinnovi di legno, cemento, lapidei, laterizi, ndr) in un’ottica espansiva, cioè di un aumento dei salari oltre l’inflazione, da mettere a disposizione per la ripresa dei consumi interni e per quella “frusta salariale” che deve spingere le aziende ad investire su nuovi processi e prodotti.
Tra i temi della vostra mobilitazione ce ne sono anche di strettamente sindacali. A cominciare dalla richiesta che a tutti i lavoratori nei cantieri sia applicato il contratto degli edili. Insomma, lavoro, ma che sia lavoro di qualità…
Genovesi Nella crisi abbiamo assistito a un peggioramento delle condizioni di lavoro nei cantieri e nelle fabbriche. È aumentato il lavoro nero e il lavoro grigio, il ricorso alle partite Iva (a cui con il recente contratto edile proviamo a dare una rete di tutele anche salariali), che rischiano di esplodere con la “mini flat tax”, ma soprattutto è aumentato il dumping contrattuale con il ricorso a Ccnl che costano meno soprattutto in termini di formazione e sicurezza. Insomma, siamo su un piano inclinato che va spezzato. Per questo – quando rivendichiamo “a stesso lavoro stesso contratto” – non puntiamo ad altro che a ridurre la guerra tra poveri, facendo aumentare le occasioni di lavoro regolare e più tutelato. E occorre che – come ribadito anche nel documento congressuale della Cgil “Il lavoro è” – si affronti il tema di ricollocare ogni Ccnl nel suo giusto perimetro, battendoci perché al lavoratore non solo si applichi il contratto realmente attinente all’attività prevalente, ma in ogni caso – qualora vi fossero sovrapposizioni – quello che in termini complessivi gli offra le condizioni migliori. Su questo anche come Cgil abbiamo qualche responsabilità. Apriamola noi la discussione, altrimenti, se non lo faremo, passeremo come coloro che stanno legittimando una “gara al massimo ribasso” tra lavoratori. E ci penserà poi questa proposta folle di salario minimo legale a metterci tutti fuori gioco, oltre che a deprimere produttività, salari e quindi domanda interna.
Cgil, Cisl e Uil hanno deciso di continuare in maniera articolata la mobilitazione per cambiare le politiche del governo iniziata con la manifestazione unitaria del 9 febbraio. Quello degli edili è dunque il primo step di questo percorso in progress. Come credi si debba proseguire?
Genovesi Prima di risponderti permettimi tramite Rassegna di ringraziare le tante strutture, di categoria e confederali, che ci stanno sostenendo in vista del 15 Marzo. A partire dal 9 Febbraio la Cgil ha rimesso al centro la questione vera: come far cambiare politica economica e sociale a un governo in permanente campagna elettorale e assumere il tema della “creazione di lavoro” come la priorità di una nuova stagione sia di lotta sia anche di intese tra le forze produttive. Personalmente ritengo che dobbiamo sfidare governo e Confindustria su un “nuovo patto” a livello generale e di settore, dalle costruzioni al metalmeccanico, dal pubblico impiego ai servizi e fino ai trasporti. Non serve un “Patto per la fabbrica”, vale a dire un patto esclusivamente circoscritto alle relazioni industriali classiche, e con il quale rischiamo di fare bei proclami ma accapigliarci poi su Tec e Tem (Trattamento economico complessivo e minimo, ndr) e cioè su come si rinnovano i contratti. A mio avviso serve un “Patto per il Paese” nel quale sui temi delle politiche industriali, fiscali, di welfare e rilancio degli investimenti pubblici e anche privati – perché le imprese devono cioè la loro parte – si costruisca un fronte di medio-lungo periodo che assuma il tema dell’innovazione, della qualità e della coesione sociale, come una sfida verso tutti.
Stai tratteggiando una sfida non facile…
Genovesi Sì. Su questo bisogna avere il coraggio di stare tra i nostri, spiegare, litigare se serve, per far capire che non può esserci giusta redistribuzione di ricchezza, se non c’è prima un cambio di modello per una giusta produzione di ricchezza. Ben vengano quindi altre mobilitazioni di settore e a livello territoriale.
Se questo poi servirà a mettere al centro dell’agenda politica delle forze che siedono in Parlamento (tanto al governo quanto all’opposizione), o nei vari consigli comunali e regionali, il tema del lavoro, della sua capacità creativa, della sua funzione emancipatrice, avremmo colto un grande risultato per quelli che rappresentiamo, ma anche per il Paese. Perché noi, sindacato confederale unitario, questo siamo: forza responsabile e dirigente che pensa sempre agli interessi generali. E si badi bene: non è un tema diverso dalla lotta al razzismo, a rigurgiti autoritari, a visioni semplificate della democrazia. Solo se svuotiamo il mare della paura, della solitudine, della precarietà, svuoteremo il mare di chi semina odio e alza muri.