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Il tribunale di Torino con la decisione del 15 novembre 2022 chiude il cerchio della lunga vicenda che in questi anni ha visto i rider contrastare la logica del cottimo imposto dalle società del food delivery, che da sempre rifiutano di riconoscere come tempo di lavoro il tempo nel quale il rider si logga alla piattaforma e rimane in attesa di ricevere l’ordine di consegna.
In pochi anni i rider hanno ottenuto, grazie alle iniziative giudiziarie promosse dalla Cgil, il riconoscimento del diritto a ricevere i dispositivi di protezione, il diritto a non essere discriminati con sistemi disincentivanti legittime forme di rivendicazione, il diritto ad avere una effettiva rappresentanza dei loro interessi e condizioni di lavoro eque e dignitose, disapplicando condizioni contrattuali stipulate da associazioni non rappresentative in assenza di una reale contrattazione.
Superata la logica del cottimo
Il lavoro delle Gig economy è finalmente uscito, grazie alle battaglie della Cgil e delle sue categorie Nidil, Filcams e Filt, dalla logica del “lavoretto” nel quale le piattaforme volevano relegare tale attività per massimizzare profitti a discapito dei diritti. L’ultimo “miglio” di questa lunga corsa dei rider per vedere riconosciuti i loro diritti era il superamento della logica del cottimo che scarica su di loro il rischio della assenza di ordini.
Le piattaforme del food delivery, con il pretesto di garantire una improbabile libertà di rifiuto dell’ordine di consegna, nei fatti ribaltano da sempre sul rider il rischio della mancanza di richieste. Non pochi rider, infatti, restano spesso loggati per ore senza ricevere alcun ordine di consegna, privati di ogni possibilità di guadagno, in lunghe attese che frustrano le loro legittime aspettative nella vana speranza di ricevere una proposta di lavoro che forse non arriverà mai. Le piattaforme, infatti, non garantiscono un minimo di ordini e i rider, a loro volta, ignorano il sistema di veicolazione dell’ordine da parte dell’algoritmo che non disvela mai il suo funzionamento e la sua “logica” selettiva.
Fuori dal limbo
Questo paradossale limbo nel quale sono costretti i rider ha determinato Enrico Francia, delegato Nidil da sempre impegnato nel sindacato in favore del riconoscimento dei diritti dei lavoratori delle piattaforme, a promuovere con l’assistenza di Nidil, Filcams e Filt Cgil un giudizio con il quale affermare non solo il carattere subordinato della prestazione ma anche che il tempo di attesa è a tutti gli effetti tempo di lavoro con pari dignità di quello impiegato per consegnare. A conclusione del giudizio il tribunale torinese, dando continuità a un analogo precedente del tribunale di Palermo, ha affermato la natura subordinata della prestazione lavorativa del ciclofattorino riconoscendo quanto da sempre affermato dal sindacato circa l’incompatibilità del modello standard proprio dell’algoritmo con la pretesa natura autonoma della prestazione del rider.
Loggarsi è come timbrare il cartellino
In tale contesto il log in alla piattaforma altro non è che la timbratura di inizio prestazione nella quale la possibilità di rifiuto, peraltro remota, è parte del contratto di lavoro che tuttavia non modifica la natura evidentemente subordinata di una prestazione che deve svolgersi nel rispetto di schemi prefissati e modelli rigidi dove ogni aspetto, dalla accettazione, alla consegna perfino alla determinazione del prezzo, è imposto dalla piattaforma. Il tribunale per la prima volta riconosce in modo esplicito come tempo di lavoro il tempo intercorrente dal log in al log out ritenendo irrilevanti i possibili rifiuti che fanno parte dello schema negoziale imposto dalla piattaforma. La mera disponibilità del rider è pertanto equiparata a tutti gli effetti al lavoro effettivo determinando con tale decisione un significativo colpo alla logica del cottimo che connota fino a oggi il lavoro delle piattaforme di food delivery.
E ora l'algoritmo
Rimane un ultimo diaframma che ancora rende opaco questo lavoro moderno guidato da una logica antica. L’algoritmo, che in un recente passato si è dimostrato essere tutt’altro che imparziale nella sua logica, deve ora svelare il suo funzionamento e i parametri che lo spingono a preferire un rider rispetto ad un altro lasciato per ore privo di lavoro. Qual è il meccanismo che frustra la sua legittima aspettativa di lavorare? Probabilmente la sentenza torinese, nell’equiparare il lavoro di attesa al tempo impiegato per la consegna, agevolerà quel faticoso percorso che vede impegnato il sindacato nel contrattare l’algoritmo per umanizzare il lavoro digitale che costituisce la sfida fondamentale del lavoro del terzo millennio.