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“Non esiste una crescita dell'Italia, non esiste un ruolo diverso dall'Italia in Europa se il Mezzogiorno del nostro paese continua a essere un Mezzogiorno senza lavoro, senza diritti e senza strutture”. Così il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, dal palco di piazza Mancini, a Napoli, per l’ultima delle quattro giornate di sciopero generale proclamate da Cgil e Uil per protestare contro una legge di bilancio che non fa gli interessi del paese.
Il video integrale della manifestazione
Mezzogiorno al centro
Anche oggi (1° dicembre), ha detto, “le fabbriche si sono svuotate” e tutto ciò “ha un grande significato” per l’intero Paese e la straordinaria partecipazione “rappresenta una grande risposta”. Il leader della Cgil ha ribadito quanto sostenuto dai sindacati in questi mesi, e cioè che “le politiche che sta facendo questo governo stanno portando a sbattere il Paese, perché non stanno dando le soluzioni necessarie”.
A cominciare dai territori più fragili che sono ovviamente i più colpiti da queste mancanze: “Sono stati 800 mila – ha ricordato – i giovani del Mezzogiorno, 300 mila dei quali laureati e diplomati, che se ne sono dovuti andare dal Sud verso l'estero o verso altre regioni per vivere a lavorare perché non hanno qui opportunità e occasioni”. Ma “quale futuro può avere un Paese se i giovani se ne vanno” dopo aver studiato in Italia e dopo tanti sacrifici fatti anche dalle famiglie e “utilizzano la loro intelligenza e il loro sapere altrove”?
E ancora: “Continuano a farci credere che dovremmo aver paura dei migranti e che dovremmo chiudere i nostri porti” e invece farebbero meglio, ha ironizzato Landini, “a chiudere gli aeroporti per smettere di fare andare via le nostre intelligenze”.
Gli investimenti per crescere
Tutto ciò si collega a un tema centrale. Il segretario della Cgil ha ribadito che per creare sviluppo, lavoro, occasioni “servono investimenti, a partire da quelli pubblici, perché il lavoro non lo crea il mercato da solo” e l’occasione delle “risorse messe a disposizione dall’Europa non può essere persa”. La realtà purtroppo ci dice altro “perché sono stati cancellati 16 miliardi di investimenti sull'efficienza energetica, sul recupero urbano, sul territorio, buona parte dei quali erano stati presentati sulla base di progetti delle Regioni e dei Comuni”.
Nell’incontro dello scorso 28 novembre ai sindacati è stato detto che erano stati aumentati gli incentivi alle imprese e alla domanda se avessero verificato come fossero stati utilizzati, se avessero creato lavoro “non ci hanno risposto”. Risorse distribuite in questo modo, in realtà, ha attaccato il leader della Cgil, “il Sud non lo hanno fatto crescere di un solo posto di lavoro, perché gli investimenti le imprese li hanno fatti al Nord”.
Il disastro delle infrastrutture
Il tema, dunque, è anche quello di un paese diviso. A cominciare dalle infrastrutture, quelle materiali e quelle immateriali. “E su entrambi i fronti – ha sottolineato – siamo di fronte a tagli sostanziosi, con una riduzione della spesa pubblica nella sanità e nella scuola”.
“Ditemi – ha detto rivolto alla folla – quante sono le scuole che nel Mezzogiorno garantiscono il tempo pieno? Quanti di voi possono portare i figli agli asili?”. Quanto alle infrastrutture materiali, “non è certo il momento di spendere soldi per opere megagalattiche che non si faranno mai, come il ponte sullo stretto, e che comunque non servono al Paese, visto che abbiamo ancora binari a senso unico e morti sul lavoro nelle ferrovie”.
Risposte ai grandi cambiamenti
“Siamo – ha poi detto passando a temi più generali – in una situazione di grandissimi mutamenti che stanno accadendo tutti insieme”. Il riferimento è alla pandemia, al cambiamento climatico “che sta mettendo seriamente a rischio l'esistenza della vita sul nostro pianeta”, al grande sviluppo di una tecnologia che porta all’intelligenza artificiale con tutto ciò che questo comporta.
Un contesto di questo genere pone anche al sindacato delle grandi domande: “Non possiamo più – ha osservato – occuparci soltanto di temi pure importantissimi come il salario o l’orario di lavoro da ridurre”. Non basta: “Poiché sta cambiando la stessa concezione del prodotto, i lavoratori non possono più essere ‘solo’ persone che vengono pagate per produrre senza poter dire che cosa si produce, come lo si produce e perché lo si produce”.
Perché è proprio questo sistema che nel tempo gradualmente “ha determinato lo sfruttamento e la precarietà” e basta andare in qualsiasi posto di lavoro per rendersi conto che “in questi anni e da tutti i governi sono state fatte leggi che hanno favorito solo le imprese, con una riorganizzazione “fondata su appalto, subappalto, finte cooperative”.
Il tutto, “mettendo le persone in competizione tra loro e spesso pensando che la propria controparte sia il migrante, il giovane, l’anziano”.
No alle politiche del governo
Landini ha ribadito con forza che bisogna costruire “una pari dignità tra il lavoro e l'impresa”, perché in questi decenni è passata “l'idea che il lavoro debba essere subalterno all'impresa, e che pur di lavorare devi accettare qualsiasi condizione”. A questo “noi dobbiamo dire di no, ci dobbiamo ribellare a questa logica. Un lavoro senza diritti non è un lavoro ma è sfruttamento”. E questo ragionamento si lega “alle politiche economiche sociali fatte anche da questo governo”, spiega il numero uno della Cgil, un governo che non ha cancellato il Jobs act, “ha ripristinato i voucher e ha liberalizzato i contratti a termine”.
Leggere bene i dati sull’occupazione
E bisogna fare attenzione a come si leggono i dati Istat sull’aumento dell’occupazione, ammonisce Landini: “In parte è anche vero, ma adesso dicono che uno è occupato anche se lavora 10 ore al mese. E nel nostro Paese abbiamo un milione di persone che lavorano da una a 10 ore al mese. Abbiamo 3 milioni di persone in part-time, e non perché l'hanno scelto ma perché sono state obbligate. Abbiamo 3 milioni di contratti a termine. Abbiamo quasi 7 milioni di persone che pur lavorando sono povere perché non arrivano a 10 mila euro lordi l'anno”.
Un nuovo patto di cittadinanza
Dopo aver ribadito, come nei comizi delle settimane scorse, la centralità di una riforma fiscale, Landini ha lanciato il tema di “un nuovo patto di cittadinanza” che occorre al nostro Paese. A partire dalla lotta all’evasione fiscale. Bisogna trovare le risorse, e ci sono: se il governo avesse a disposizione anche solo metà dei 100 miliardi di evasione stimati in Italia, li potrebbe “investire nella sanità pubblica, nella scuola, nelle infrastrutture”, e cambierebbe questo Paese.
Per questo motivo resta “un punto fondamentale la battaglia per la riforma fiscale, per la crescita dei salari, per il superamento della precarietà, per una nuova politica industriale che sia in grado di creare lavoro”, in una fase di rallentamento, perché “i segnali che ci stanno arrivando dal settore industriale e manifatturiero sono di ripresa della cassa integrazione”, ammonisce Landini.
Un’Italia senza mafie
“Uno dei problemi dell’Italia è il livello di corruzione e illegalità. Ora c'è una grande attenzione al piano nazionale di ripresa e resilienza, perché nei prossimi anni il nostro Paese se sarà capace avrà la possibilità di spendere quasi 200 miliardi. E la 'ndrangheta, la camorra, le mafie vanno dove ci sono i soldi”, aggiunge Landini ricordando alla piazza di Napoli che “uno dei più grandi processi contro la 'ndrangheta non l'hanno fatto a Reggio Calabria, ma a Reggio Emilia”, la sua città di nascita. E “oggi il sistema di appalto e di subappalto, di sfruttamento del lavoro permette alle imprese illegali di diventare legali. La nostra non è una battaglia solo per i diritti del lavoro, allora, ma è una battaglia per la qualità e per favorire quegli imprenditori che vogliono fare seriamente il loro lavoro”.
No alla cultura del possesso
Landini ha quindi rilanciato la campagna dei prossimi mesi in difesa dei contratti nazionali e dei rinnovi. Ed è tornato a difendere la Costituzione, il ruolo del Presidente della Repubblica, le prerogative del Parlamento, il diritto di sciopero, l’unità del Paese contro l’autonomia differenziata. Ha insomma posto un argine ai progetti istituzionali del governo, promettendo battaglia in un eventuale referendum.
Quindi si è soffermato sulla manifestazione romana del 25 novembre contro la violenza sulle donne. “Ho avuto la fortuna di scendere in piazza insieme a una enorme quantità di persone, di giovani, di donne, di famiglie. La cosa che mi ha colpito era la voglia e la felicità che c'era in quelle persone di essere in piazza”.
Di fronte al desiderio di libertà di quelle manifestazioni, Landini indica un “punto di fondo” che riguarda gli uomini, “che riguarda la necessità di cambiare la cultura di questo Paese, e che ha un legame anche con la logica che ha portato alla precarietà. Ossia nessuno deve crescere nell'idea di poter essere proprietario di un'altra persona. Questa cultura del possesso è l'elemento che va cambiato, perché quando il lavoro torna ad essere una merce noi ci dobbiamo ribellare. Nessun datore di lavoro può essere il proprietario della mia testa o del mio corpo”.
Le nostre piazze, le nostre responsabilità
La mobilitazione di queste settimane di Cgil e Uil ha ottenuto un'enorme partecipazione, dal Nord al Sud. “Erano anni - nota Landini - che non si vedevano piazze piene come in queste settimane. Ci danno la forza di andare avanti. Ma ci danno anche una responsabilità. E io voglio essere onesto: non lo so se saremo in grado di portare a casa dei risultati. Perché abbiamo un governo che ha la maggioranza in Parlamento e non discute con nessuno, che ad esempio ha detto di no al salario minimo e si è fatto votare una legge delega in Parlamento dove, anziché il salario minimo, si ripristinano le gabbie salariali”.
Quindi “non so se riusciremo a portare a casa dei risultati. Ma se non ci proviamo noi a cambiare questa situazione, non lo faranno altri al nostro posto. I nostri padri e i nostri nonni non avevano né lo Statuto dei lavoratori né i contratti, lavoravano dodici ore al giorno”. Sono loro il modello cui ispirarsi, senza le loro battaglie “non avremmo i diritti che abbiamo”.
Ma adesso, insiste Landini, ognuno “deve fare la sua parte. Non è il momento di delegare ad altri. È il momento del coraggio”. “Noi stiamo indicando la via per dare un futuro al Paese, e il successo di queste manifestazioni ci dà la forza di andare avanti”.