Una sentenza che sa di Cassazione. Da ventiquattro mesi consecutivi, l’Istat ci sbatte in faccia una verità inconfutabile: l’industria italiana è in coma. Il motore produttivo del Paese sta perdendo colpi su tutti i fronti, mentre il Governo Meloni e il ministro Urso si rifugiano in un silenzio assordante o, peggio ancora, in una narrazione da Paese delle meraviglie, dove tutto va a gonfie vele.

Peccato che i dati raccontino un’altra storia, piuttosto inquietante. Mettiamoli in fila: il settore della fabbricazione di mezzi di trasporto crolla del 13,1%; il tessile scivola a -12,3%; coke e petrolio raffinato segnano un desolante -6,2%. Ma non basta. A dicembre 2024 il fatturato industriale è crollato del 7,2% rispetto all’anno precedente, con un calo ancora più marcato nei volumi, -7,7%. E se si guarda al monte ore lavorate, si registra un arretramento dello 0,7%, che diventa -1,2% per dipendente. Un disastro.

E il governo cosa fa? Nulla. O meglio, si lancia in festeggiamenti autocompiaciuti, mentre l’Inps certifica un’impennata del 47,59% nelle ore di cassa integrazione nei settori industriali. Questo frullatore di numeri impazziti ci dice che il Paese è entrato in una fase di sofferenza strutturale. Eppure, da Palazzo Chigi continuano a ripetere la solita litania sul rilancio del manifatturiero. Un copione stanco e privo di sostanza. Una presa in giro.

La verità, ripetuta invano più volte, è che questa destra di governo non ha, e non mai avuto, un’idea di politica industriale. Le grandi promesse di sovranismo economico si sono rivelate aria fritta. Invece di investire in un serio piano di reindustrializzazione si è preferito lasciar scivolare il sistema produttivo nel declino, cullandosi nell’illusione che la propaganda basti a coprire il vuoto di idee. Il risultato? Noi arretriamo mentre il resto d’Europa accelera.

Giorgia Meloni e il suo esecutivo si stanno dimostrando maestri nell’arte dell’inerzia. Parlano di ripresa, mentre le fabbriche chiudono. Esaltano il made in Italy, ma non muovono un dito per salvare chi produce davvero. Siamo di fronte a un bluff colossale, che però ha le gambe corte. Perché i numeri, quelli veri, non si possono nascondere per sempre.

La farsa si sta trasformando in una pericolosa tragedia. Quando il castello di carte crollerà, non saranno certo i ministri a restare sotto le macerie, bensì migliaia di lavoratori, imprenditori e famiglie, traditi dall’illusione di una guida politica che si è rivelata un guscio vuoto. L’agonia industriale del nostro Paese non è il risultato del destino cinico e baro, ma della deliberata incapacità di chi ci governa.