Questo articolo è stato pubblicato con il titolo The Brexit deal and the International Labour Organisation Conventions sul quotidiano britannico Morning Star del 31 dicembre 2020. Gli autori sono N. Contouris, K. Ewing e Lord Hendy QC (Institute of Employment Rights).

Come sottolineato nel nostro precedente articolo, l'accordo commerciale e di cooperazione (Trade and Cooperation Agreement — Tca) tra l'Ue e il Regno Unito è stato concepito per consentire la diluizione da parte di quest’ultimo dei diritti dei lavoratori derivanti dal diritto dell'Ue in vigore al 31 dicembre 2020. Il Tca non offre alcuna garanzia di mantenere l’allineamento a tali diritti dopo la Brexit; con ogni probabilità, gli standard britannici si ridurranno, via via, rispetto a quelli dei paesi dell’Unione. Vi sono tuttavia altre disposizioni del Tca, relative ai diritti dei lavoratori, che non dovrebbero passare inosservate; tra queste si annovera l'art. 8 del Titolo XI del capitolo II relativo al commercio e allo sviluppo sostenibile. Per i non addetti ai lavori, ciò potrebbe sembrare promettente, in quanto le parti ribadiscono il loro impegno a favore dello sviluppo del commercio internazionale "in modo da promuovere un lavoro dignitoso per tutti, come previsto nella Dichiarazione dell'Oil del 2008 sulla giustizia sociale per una globalizzazione equa".

Oltre a questo, l'art. 8, par. 3, in discorso impegna le parti a “rispettare, promuovere e attuare efficacemente” gli international core labour standards, come definiti nelle Convenzioni fondamentali dell'Oil, vale a dire: La libertà di associazione e l’effettivo riconoscimento del diritto alla contrattazione collettiva; L’eliminazione di tutte le forme di lavoro forzato o obbligatorio; L’effettiva abolizione del lavoro minorile; nonché L’eliminazione di ogni discriminazione in materia di occupazione e condizioni di lavoro. Le convenzioni dell'Oil sulla libertà di associazione comprendono la tutela del diritto di sciopero e di contrattazione collettiva, e il diritto per i sindacati di stabilire le proprie regole e attività. Le convenzioni prevedono livelli di protezione molto più avanzati rispetto all'attuale diritto del lavoro britannico.

Tuttavia, nonostante ciò, sarebbe un errore entusiasmarsi in riferimento all'art. 8: l'impegno ad "attuare efficacemente" le norme dell'Oil è infatti privo di senso. Si tratta - come sostiene il Prof. Tham dell'Università di Melbourne - di una forma di "falsa regolamentazione", tipica di altri testi neoliberali. In altre parole, l'art. 8 è solo un’affermazione retorica, che non intende vincolare nessuno e che, di fatto, non vincola nessuno. Diciamo questo perché il contenuto dell'art. 8 è stato copiato (e incollato) da numerosi altri accordi di libero scambio, nell’ambito dei quali norme come questa non hanno prodotto alcun effetto. Tra questi figurano gli accordi di libero scambio negoziati dall'Ue che recano le firme dei primi ministri britannici, come gli accordi con la Corea del Sud e con il Canada (Non è dunque un caso che, prima della Brexit, il Regno Unito non avesse obblighi derivanti da trattati di libero scambio).

Nonostante accordi di questo tipo e impegni assunti per attuare efficacemente gli obblighi derivanti dalle Convenzioni dell’Oil, nel 2016 i tories di David Cameron hanno introdotto il Trade Union Act. Quest'ultimo è stato aggiunto dal comitato di esperti dell'Oil alla lunga lista di violazioni della libertà di associazione da parte del Regno Unito, un articolato elenco aperto nel 1989 e che da allora è stato integrato quasi ogni anno. Durante il governo di Johnson è probabile che tale elenco sarà ampliato a causa delle restrizioni ancora maggiori imposte ai sindacati (si pensi all'impegno, assunto nel manifesto elettorale dei tories, di introdurre limiti ancora più rilevanti alle azioni sindacali nel settore ferroviario). Anche l'Ue (e alcuni Stati membri) continuano a violare le Convenzioni dell'Oil i noti casi Viking e Laval ne sono buoni esempi. In essi, si ricorderà, la Corte di giustizia dell'Ue ha subordinato i diritti sindacali al diritto delle imprese di praticare il dumping sociale. L'azione organizzata dai sindacati in risposta a tali pratiche sarebbe consentita solo se rispettasse condizioni molto strette, condizioni che il comitato di esperti dell'Oil - in un caso riguardante il sindacato britannico Balpa - ha in seguito ritenuto in violazione della Convenzione Oil n. 87.

L'Ue potrebbe rispettare gli obblighi derivanti dalle Convenzioni Oil solo se la Corte di giustizia ribaltasse la sua decisione del 2007 nel caso Viking, o se vi fosse una modifica del trattato per dare priorità giuridica al diritto di sciopero nel diritto dell'Ue. Nessuna delle due alternative è probabile che si verifichi. L'Ue non è pertanto nella posizione di denunciare la persistente violazione, da parte del Regno Unito, delle norme dell'Oil, che la stessa Ue è attualmente incapace di rispettare a causa del suo diritto costituzionale. Entrambe le parti hanno quindi assunto gli impegni sulla base dell'art. 8 nella piena consapevolezza di non poterli rispettare. Sebbene esse negheranno certamente siffatta violazione, viviamo in un mondo di non rispetto “mutualmente garantito”, in cui non è nell'interesse di alcuna delle parti sollevare una denuncia nei confronti dell'altra.

L'art. 8 continuerà pertanto ad essere ciò che sono analoghe disposizioni contenute in altri accordi di libero scambio: inutile. Si deve tuttavia sottolineare che l'art. 8, par. 3, del Titolo XI del Capitolo II del Tca contiene un esplicito impegno ad attuare l’effettivo “riconoscimento del diritto alla contrattazione collettiva" (“the effective recognition of the right to collective bargaining;”: lett. a). Se ciò fosse preso sul serio, sarebbe estremamente importante. Dopo 40 anni di "riforme” neoliberali, la copertura della contrattazione collettiva nel Regno Unito è scesa dall'82 % del 1979 a circa un 27 % complessivo di oggi, con poco più della metà di quella cifra nel settore privato. Nell’Ue, invece, la Commissione si sta preoccupando dei paesi con livelli di contrattazione inferiori al 70% e, a quanto pare, sta cercando di fare qualcosa in proposito. Tuttavia, mentre l'Ue può essere colpita dalla gravità della crisi che sta vivendo la contrattazione collettiva, tale inquietudine non è condivisa dal governo Johnson, né è probabile che l'impegno previsto dall'art. 8 di favorire la contrattazione collettiva significhi molto nella pratica.

Questi impegni devono essere esaminati alla luce dell'art. Grp1 del Tca, che tratta dei principi generali in materia di buona pratica normativa e cooperazione. Quest'ultimo fa riferimento al diritto delle parti di "disciplinare i propri livelli di protezione nel perseguire o promuovere i propri obiettivi di politica pubblica" in settori quali la salute e la sicurezza sul lavoro e le condizioni di lavoro. Sebbene l’art. GRP1 abbia una portata e un'applicazione incerti, offre una guida sulle posizioni del governo britannico, così fa come il chiarimento aggiunto per "maggiore certezza". Quest’ultimo protegge "i diversi modelli di relazioni industriali" conformemente alle leggi e alle prassi nazionali, facendo specifico riferimento alle "leggi e pratiche in materia di contrattazione collettiva e applicazione dei contratti collettivi". In altre parole, l’art. Grp1 sembra consolidare un'intenzione del governo di mantenere un modello regolativo di contrattazione che è stato progettato per fallire. Si tratta di un modello che non è stato in grado di garantire una copertura della contrattazione collettiva superiore al 50 % in nessuno dei principali paesi in cui opera.

L'esplicita necessità di preservare questo modello rafforza la preoccupazione per la visione che il governo ha del "mercato del lavoro" post-pandemia Covid-19. Come abbiamo scritto all'inizio del nostro primo articolo, i deputati laburisti e i Peers sono chiamati a sostenere un accordo che mira a ledere i diritti dei lavoratori britannici, nonostante i fiumi di inchiostro inutilmente versato per convincerci del contrario. L'accordo non protegge i diritti vigenti derivanti dal diritto dell'Ue e non tutela i diritti derivanti dalle Convenzioni Oil (e dalla Carta sociale europea). Per il partito di Keir Hardie sostenere tale trattato sarebbe non solo profondamente paradossale, ma forse anche un segnale del definitivo trionfo del neoliberalismo.