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Si occupano delle pratiche di regolarizzazione degli immigrati, permessi di soggiorno, ricongiungimenti familiari, richieste di asilo. Questioni delicate, attività da cui dipendono le vite di molte persone. Lavorano negli uffici delle questure e delle prefetture d’Italia e sono tutti precari. Tutti e 1458. A loro sono affidati i destini e i dossier di quanti approdano nel nostro Paese in fuga da guerre e persecuzioni, alla ricerca di una protezione, di un lavoro, di un’esistenza migliore. La loro precarietà ha un nome e si chiama contratto di somministrazione a tempo determinato.
Ecco, questo tempo è scaduto o sta scadendo. Il 28 febbraio per i 160 dipendenti di GiGroup che operano nelle commissioni territoriali delle questure. Il 31 marzo per i 408, sempre di GiGroup, in missione negli uffici immigrazione delle questure. A marzo finiscono anche i rapporti degli 800 ex interinali ManPower che prestano servizio nelle prefetture. In queste settimane terminano quelli dei 90 somministrati Adecco impiegati dall’Agenzia dell’Unione europea per l’asilo (Euaa che prima si chiamava Easo, European Asylum Support Office) attivi presso le autorità italiane dei ministeri della Giustizia e dell’Interno.
“È paradossale, lavoratori precari si occupano di persone che si trovano in condizioni molto precarie – commenta Davide Franceschin, segretario nazionale Nidil Cgil -. Sono impegnati sui diritti degli immigrati all’emersione, all’asilo, al permesso di soggiorno, e il livello di precarietà del loro lavoro dimostra come l’esercizio di questi diritti, e cioè di stare qui in Italia, è reso complicato e difficile. E questa è una scelta politica”.
La situazione in cui si trovano questi 1.458 somministrati è diversificata. Per quanti hanno prestato servizio nelle commissioni territoriali, nelle prefetture e nelle questure, 1368 persone, il sindacato ha chiesto che venga garantita la continuità occupazionale. Scaduti i bandi, e in attesa dei nuovi, ci saranno molto probabilmente dei “buchi”, cioè i lavoratori saranno lasciati a casa, almeno per un po’. E non sarebbe la prima volta. Il rischio però è che le nuove gare di affidamento se le aggiudichino altre agenzie per il lavoro, ed è per questo che il Nidil ha chiesto il rispetto della cosiddetta clausola sociale.
Nel caso dei 408 somministrati in missione negli uffici immigrazione delle questure, nell’incontro tenuto qualche giorno fa dai sindacati di categoria Felsa Cisl, Nidil Cgil e Uiltemp e della Funzione pubblica, con i rappresentanti del dipartimento della Pubblica sicurezza del ministero dell’Interno si è aperto lo spiraglio: la proroga fino a fine anno. “Ma è importante procedere in tempi rapidi con l’iter di gara, l’aggiudicazione deve avvenire entro il 31 marzo, massimo 10 aprile per proroga tecnica, per evitare l’interruzione del servizio e dei contratti di lavoro” precisa Franceschin.
Una storia del tutto diversa e se possibile ancora più incredibile è quella dei novanta impiegati dall’Agenzia dell’Unione europea per l’asilo (Euaa che prima si chiamava Easo, European Asylum Support Office) attivi presso le autorità italiane dei ministeri della Giustizia e dell’Interno. Qui alla scadenza dei contratti di somministrazione, dopo tre anni di servizio, propongono ai lavoratori di aprirsi la partita Iva e di diventare dei consulenti. Potranno candidarsi per le posizioni già ricoperte, ma l’agenzia si riserva di accettarle oppure no, adottando criteri sconosciuti, quindi in maniera del tutto arbitraria.
“Un modo per rendere ancora più precario personale che precario lo era già, privandolo di tutti di diritti, dalla malattia alle ferie alla maternità, ogni tutela prevista dalla legge italiana” prosegue Franceschin. Insomma, mera forza lavoro sempre sostituibile e intercambiabile, con il rischio che questa precarietà si rifletta sulla qualità del lavoro stesso dell’Agenzia in una materia così delicata come quella del diritto di asilo e dell’immigrazione. Senza contare che la pubblica amministrazione dell’Unione europea, che si fa bandiera della tutela dei diritti umani dei richiedenti asilo, si trova a implementare strategie e politiche lavorative che contraddicono i principi stessi su cui la stessa Unione europea si fonda.