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“La paura del Coronavirus è tanta, ma il senso civico prevale”. È quello che ci dice Stefano Luciani, dipendente di Acea, l’azienda che fornisce luce e gas a Roma, il quale racconta le condizioni nelle quali operano lui e i suoi colleghi. I lavoratori sono obbligati per legge a garantire il servizio essenziale, quindi stop a volture, cessazioni e aumenti di potenza, ma, se in una casa o in un intero quartiere c’è un guasto che interrompe l’erogazione dell’energia elettrica, bisogna intervenire. Mascherine, guanti, tute monouso sono arrivate solamente all’inizio di questa settimana, ma il materiale non abbonda e gli operatori lo devono usare con parsimonia, perché non si sa quando la prossima fornitura potrà arrivare. Sino a pochi giorni fa l’azienda autorizzava gli acquisti assicurando i rimborsi.
“In base alle nuove procedure noi possiamo andare a casa del cliente solamente se c’è un guasto, a meno che le operazioni si possano fare nel sottoscala – ci spiega Luciani –. Quando entriamo nelle abitazioni il locale dove lavoriamo deve essere completamente liberato, stiamo a distanza di due metri dalle persone anche se indossiamo elmetti con visiera e poi dobbiamo fare il prima possibile. L’azienda non ha obbligato nessuno a prendersi le ferie e ha messo in condizione una gran parte dei lavoratori di praticare lo smart working”.
C’è poi il problema dei trasporti, Luciani si muoveva con il treno perché vive lontano da Roma, ma ora la società per la quale lavora ha fornito a tutti un’automobile personale e anche sui furgoni è presente solamente l’autista, gli altri elementi della squadra lo seguono ognuno a bordo del proprio mezzo, per ridurre i contatti. “Non si può lasciare la gente senza elettricità, per questo nessuno di noi si è dato malato – conclude Luciani –. La paura è tanta, ma fortunatamente c’è il senso di appartenenza che ci distingue”.