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La decisione del 4 agosto del Tribunale di Torino rappresenta un risultato di estrema rilevanza raggiunto dalla Cgil in un percorso giudiziario da tempo intrapreso per rendere i sistemi automatizzati di gestione del lavoro più trasparenti e umani.
La sentenza impone pregnanti obblighi di trasparenza alle società della gig economy che si oppongono a svelare le logiche dei loro sistemi e i parametri utilizzati per valutare e scegliere i lavoratori con i quali interagire.
L’abbinamento automatizzato di un lavoratore a una proposta lavorativa attuata dal sistema costituisce, infatti, l’elemento centrale del cottimo digitale che è alla base della programmazione dei sistemi le cui logiche operative non vengono mai svelate.
L’opacità dei sistemi rende pertanto il gig worker dipendente da sistemi gestionali tanto sconosciuti quanto implacabili nella loro logica di programmazione “protetta” dai segreti industriali e commerciali.
Il feedback determina la reputazione digitale sulla base di parametri insindacabili “del mercato” e segna al contempo il destino lavorativo del prestatore dell’economia digitale tanto quanto le oscure valutazioni di affidabilità e rendimento elaborate dai sistemi, resi impermeabili a qualunque controllo.
Solo la conoscenza dell’algoritmo consente, dunque, di governare i processi produttivi automatizzati per assicurare condizioni di lavoro dignitose ed evitare che logiche di programmazione determinino forme occulte di discriminazione lavorativa e di emarginazione di soggetti ritenuti incompatibili con i parametri di efficienza.
Il rischio di discriminazione, tuttavia, è noto e concreto. Il ranking reputazionale demandato al mercato è attualmente oggetto di una iniziativa giudiziaria da parte dell’autorità statunitense per le pari opportunità lavorative, la Equal Employment Opportunity Commission (EEOC), che ritiene che dietro i giudizi dei feedback si nascondano forme indirette e incontrollate di discriminazione e di conseguente emarginazione lavorativa.
Le logiche di affidabilità, continuità e “partecipazione” del lavoratore sono del tutto fumose e assoggettano il gig worker a ritmi lavorativi incontrollati.
L’Italia, anticipando l’entrata in vigore della direttiva sul lavoro digitale, si è dotata con il decreto legislativo 104/22 di un importante strumento che impone alle aziende di comunicare in forma trasparente e intelligibile ai lavoratori e alle organizzazioni sindacali territoriali il funzionamento dei sistemi automatizzati.
Sebbene l’obbligo sia entrato in vigore sin dall’agosto 2022, le società della gig economy non hanno fornito alcuna informazione determinando la Cgil a promuovere su Palermo, L’Aquila e Torino alcuni ricorsi per condotta antisindacale al fine di costringere le società a disvelare i loro sistemi.
Il Tribunale di Palermo con due decisioni di aprile e giugno 2023 ha respinto le difese delle società del food delivery che si opponevano alle richieste del sindacato, affermando che i loro sistemi, se da un lato non erano integralmente automatizzati, dall’altro, le informazioni richieste non erano protette dal segreto commerciale.
Il Tribunale di Palermo, nel sanzionare la condotta omissiva di Glovo, aveva imposto già nel mese di giugno una sanzione per ogni giorno di ritardo nella comunicazione dovuta al sindacato, affermando che le informazioni fornite, in quanto paventavano mere possibilità di scelte automatizzate, erano incompatibili con gli obblighi di effettiva e chiara informazione intelligibile.
Il Tribunale di Torino poche settimane dopo effettua un ulteriore approfondimento che si estende al contenuto stesso delle informazioni dovute al sindacato. Il giudice, infatti, dopo aver effettuato una puntuale analisi dei singoli parametri utilizzati per la determinazione del punteggio di eccellenza, impone alla multinazionale di svelare la logica del cottimo obbligandola a chiarire il cd decay factor di ogni parametro, ovverosia la penalizzazione rispetto al valore ideale del sistema, e il suo rapporto con le consegne effettuate, precisando che l’informazione imprecisa resa rende il dato del tutto vago e, quindi, inutile.
Il Tribunale impone quindi di svelare la logica del cottimo che è il cuore del sistema. La decisione con estrema chiarezza afferma «per il parametro “numero di ordini”, l’informativa si imita a indicare che il punteggio dei rider che non si sono collocati in vetta alla classifica per numero di ordini consegnati, nel periodo di riferimento, scenderà “proporzionalmente”, senza chiarire il coefficiente o la funzione matematica applicata».
La decisione coglie appieno i rischi della opacità algoritmica e della rigidità delle sue regole operativa: «È sufficiente evidenziare come proprio l’applicazione della medesima logica di funzionamento dei parametri che determinano il punteggio di eccellenza, a fronte di persone portatrici del tipico fattore di rischio, produca una discriminazione mentre, invece, l’unico criterio che consente il rispetto dell’uguaglianza sostanziale è quello riassumibile nella espressione “a ciascuno il suo».
Il provvedimento, che segue la nota decisione del Tribunale di Bologna che aveva sanzionato la cecità di Frank, l’algoritmo di Deliveroo che decideva quanto vedere o ignorare la diversità, rappresenta un nuovo fondamentale punto di arrivo e di approfondimento che finalmente apre la strada alla trasparenza che è il primo essenziale passo per una vera negoziazione dell’algoritmo nella quale il sistema è asservito all’uomo e non viceversa.
Avv. Maria Matilde Bidetti Avv. Carlo de Marchis Gómez