PHOTO
Anselmo Gandolfo, da poco segretario provinciale della Filt Cgil di Trapani, per anni è stato segretario provinciale della Filcams Cgil e in quel ruolo ha seguito tutta la vicenda del sequestro del gruppo 6 Gdo, una catena di supermercati e un centro commerciale di proprietà di Matteo Messina Denaro. Una storia finita male per lavoratori e lavoratrici nonostante l’impegno del sindacato.
“Supermercati e centri commerciali avevano e hanno un interesse particolare per la mafia, dice Anselmo Gandolfo, il denaro contante ottenuto attraverso attività illecite passa per le casse dei punti vendita e viene ripulito. E ovviamente la grande distribuzione diventa strategica perché conta sui grandi numeri”. Sono milioni quelli che dal traffico di droga, racket, scommesse clandestina e tutto il repertorio delle attività mafiose rigorosamente gestite in contanti, attraverso la grande distribuzione viene depositato nelle banche e reintrodotto nel circuito dell’economia pulita. “Per questa ragione - aggiunge il dirigente sindacale - la moneta elettronica e il tracciamento del contente sono uno strumento strategico e indispensabile per la lotta alla mafia”.
Messina Denaro e i supermercati
Era il 2013 quando la magistratura confiscò definitivamente a Giuseppe Grigoli, prestanome del boss mafioso, un patrimonio da 700 milioni di euro. Secondo la Dia di Palermo il Gruppo 6Gdo srl gestiva, oltre al centro di distribuzione, 43 punti vendita tra Trapani e Agrigento nonché altri 40 supermercati in regime di affiliazione al marchio Despar. La storia per i lavoratori e le lavoratrici comincia nel 2000 quanto avviene il primo sequestro. E per i 400 dipendenti diretti della 6Gdo, come per quelli dei punti vendita comincia il calvario.
L’amministrazione giudiziaria
Dopo il sequestro arriva l’amministratore giudiziario e con la confisca arriva prima il fallimento e poi la vendita. Nel frattempo l’Agenzia dei beni confiscati con l’aiuto della Cgil prova a ricollocare lavoratori e lavoratrici. “A seguito del fallimento - ci dice ancora Gandolfo - intervengono i licenziamenti collettivi, il personale va in mobilità. Per fortuna retribuita, da un minimo di due anni a un massimo di quattro anni".
Nel frattempo l'Agenzia dei beni confiscati, "anche con la nostra collaborazione, è riuscita a piazzare la quasi intera rete di vendita a un'unica società e nel settembre fu inaugurato il primo punto vendita, il più grande, che è all'interno del centro commerciale Belicittà di Castelvetrano. E da lì, a distanza di breve tempo l'uno dall'altro, si sono riaperti gran parte dei punti vendita. E di volta in volta l'Agenzia, ogni qualvolta autorizzava all'apertura di un punto vendita, poneva al gestore la condizione di assumete una percentuale molto alta di personale proveniente dalla 6Gdo”. Sulla carta circa 280 dei 400 lavoratori senza più un posto avrebbero dovuto essere riassunti. Ma solo sulla carta
Una storia non finita bene
Nel frattempo, anche la nuova società incontra difficoltà economiche e comincia a chiudere e poi fallisce. La sede Palermo dell’Agenzia, poi purtroppo, viene depotenziata diventando una sede periferica dell’Agenzia. Risultato i nuovi amministratori giudiziari hanno cercato alla meno peggio di trovare spezzettando la rete di supermercati ma a quel punto avendo assai meno potere contrattuale per chiedere l’assunzione dei dipendenti rimasti senza lavoro. Ci dice ancora l’allora segretario della Filcams: “Solo pochissimi lavoratori e lavoratrici sono rimasti, a tutt'oggi, dipendenti. Sono quelli impiegati punto vendita all’interno del centro Commerciale Centro commerciale Bellicità di Castelvetrano. A quanti, poi, hanno perso il lavoro avendolo riottenuto se ne aggiungono un centinaio che non hanno mai trovato una nuova occupazione e quelli che provenivano dal centro di distribuzione che mai è tornato a operare”.
Una sconfitta per lo Stato
Questa è l’amara considerazione di Anselmo Gandolfo: “Una sconfitta vera per lo Stato che non è riuscito a far fruttare all’azienda che aveva confiscato. Non si può depotenziare l’Agenzia dei beni confiscati in un territorio come il nostro. Anzi bisognerebbe fornirla di personale e strumenti. E poi occorre individuare paracadute e percorsi reali per tutelare lavoratori e lavoratrici vittime incolpevoli di mafia”.