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“Questo pugno che sale, questo canto che va, è l’Internazionale, un’altra umanità”. È con le parole del poeta francese Eugène Pottier, recitate sulle barricate della Comune di Parigi e tradotte successivamente in italiano da Franco Fortini, che il segretario generale della Fiom Cgil Michele De Palma, appena rieletto, ha concluso oggi (sabato 18 febbraio) a Padova il XXVIII congresso della Federazione. Il segretario generale ha ottenuto il 96,99% dei voti favorevoli, espressi dall’assemblea generale del comitato centrale della Fiom, convocata al termine del congresso.
La relazione conclusiva di De Palma ha ripercorso i tanti temi del congresso: dai giovani alla precarietà, dalla necessità del cambiamento all’analisi del presente. E poco prima della chiusura, forte è stato l’appello del segretario (molto applaudito dalla platea) al governo italiano per avere “verità e giustizia per Giulio Regeni, un ragazzo che è morto semplicemente perché faceva un’indagine sui lavoratori”.
La necessità del cambiamento
Sono le differenze a generare il cambiamento. E questo non si genera nei gruppi dirigenti, ma nel rapporto con i delegati e nel rapporto tra i delegati e i lavoratori dentro i luoghi di lavoro. Il cambiamento è possibile quando c’è una dialettica, e la dialettica è data dalle esperienze e dal vissuto delle lavoratrici e dei lavoratori.
La realtà delle fabbriche
Viviamo un contesto di grande ferocia, nelle fabbriche non troviamo un clima di naturale solidarietà tra le persone. La tendenza ora è a gestirsi ognuno per sé. In questo momento di crisi, in cui le condizioni individuali sono complicate, la condivisione è difficile, si fatica a mettere insieme tutte le condizioni. In questi anni si è voluta costruire un’idea aziendalista, da un lato, mentre dall’altro, anche col supporto di un’ipotesi di governo, un’idea corporativa della condizione dentro le aziende.
Le giovani generazioni
Con i ragazzi e le ragazze dobbiamo parlare. Dobbiamo andare dentro le scuole, perché un giovane oggi, quando sta a scuola, come unico orientamento ha il rapporto con le imprese. La relazione con le giovani generazioni va costruita, non solo su un elemento politico di carattere generale, come le grandi manifestazioni o l’idea di un mondo migliore. La questione è pratica: non è possibile che i giovani vivano con il mito di quella o quell’altra azienda, che gli va a spiegare quanto sia bello lavorare lì dentro, e non sapere che esiste il sindacato, che esistono diritti con i quali possono e debbono stare in fabbrica.
La precarietà
All’inizio del congresso abbiamo lanciato a Fim e Uilm la proposta di un percorso comune in vista del rinnovo del prossimo contratto dei metalmeccanici. Una proposta che abbia nel rapporto con tutti i lavoratori ben piantata la bandiera del rinnovo del ccnl con cui ottenere diritti solidali per tutta la categoria. Nel prossimo rinnovo dobbiamo affrontare le condizioni di precarietà che ci sono dentro le aziende. La nostra scelta dovrà essere quella di puntare sulla stabilizzazione dei lavoratori precari.
Il rapporto con la politica
I temi della precarietà e del salario sono le due bandiere sulle quali dovremo misurarci con le controparti. E lo faremo in un periodo di straordinaria solitudine nel rapporto con la politica. C’è una separazione, un distacco, un’ipotesi di governo che si chiude dentro un’idea amministrativa e non ha più un rapporto con la realtà. Il fatto che le lavoratrici e i lavoratori non vadano più a votare non è un problema solo della politica: tra un po’ lo diventerà anche per il sindacato e per la contrattazione. Si sta facendo avanti l’idea che la realtà non si può cambiare, e che occorra trovarsi una nicchia nella quale provare a vivere o sopravvivere. Ecco perché la funzione e il ruolo del sindacato è un elemento di rottura con quest’idea della politica.
L’anomalia del sindacato
La condizione di pressione e di saturazione che vivono i lavoratori dentro le fabbriche, la vivono anche gli studenti dentro le università, sempre più costretti alla competizione. L’idea dominante è che se non ce la fai, il problema non è il mondo che ti sta intorno che devi cambiare, ma sei tu che hai sbagliato qualcosa. Noi, invece, siamo quell’anomalia che prova a dimostrare il contrario: se il mondo non va, il problema non siamo noi, ma è chi decide l’economia, la politica, la società che sta sbagliando. E noi non vogliamo continuare a farli sbagliare perché in discussione in questo momento ci sono il pianeta e l’umanità a causa della guerra.