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Il 97% dei lavoratori italiani è coperto da contratti collettivi siglati dai sindacati confederali, mentre rimane un'abnorme proliferazione di contratti firmati da altre sigle che tuttavia rappresentano pochissimi lavoratori. Sono questi i dati più interessanti che emergono dall’ultima ricerca realizzata dalla Fondazione Di Vittorio La contrattazione collettiva, il ruolo dei sindacati confederali e i lavoratori interessati.
Nel dettaglio sono 14,5 milioni i lavoratori dipendenti del settore privato (agricoli e domestici esclusi) tutelati da un contratto collettivo nazionale di lavoro. Il totale dei contratti del settore privato, nel 2022, è di 894, di cui 207 sono sottoscritti da Cgil, Cisl, Uil (23,2%) e 687 firmati solo da altre organizzazioni sindacali (76,8%).
Dall'elaborazione della Fdv dei dati Cnel-Inps relativa a 894 Ccnl, risulta che: 207 Ccnl firmati da Cgil, Cisl, Uil coprono 13.366.176 lavoratori dipendenti del settore privato; 687 Ccnl firmati dalle altre organizzazioni sindacali interessano 474.755 lavoratori. A questi dati bisogna aggiungere 689.355 lavoratori dipendenti per i quali il datore di lavoro non ha indicato chiaramente il Ccnl applicato. Quindi i contratti siglati dalle tre Confederazioni tutelano la stragrande maggioranza dei lavoratori dipendenti del settore privato.
Per il presidente della Fondazione Di Vittorio Fulvio Fammoni “questa proliferazione contrattuale non ha niente a che vedere con l’espansione del numero di lavoratori a cui si applica un contratto, né con migliori condizioni di lavoro, perché spesso prevedono condizioni inferiori rispetto ai Ccnl confederali”.
“Tutto questo - sottolinea Fammoni - risponde evidentemente ad altri meccanismi, tra cui la frammentazione, scomposizione del sistema di rappresentanza datoriale e con la necessità, anche sindacale, di legittimarsi per salvaguardare le prerogative associative di chi stipula quei contratti. Le conseguenze sono, però - conclude il presidente della Fdv - la mancanza di parità di condizioni fra lavoratori occupati negli stessi settori e una indebita forma di pressione “al ribasso” verso gli altri contratti".
Secondo la segretaria confederale della Cgil Francesca Re David “dai dati elaborati dalla Fondazione Di Vittorio emerge chiaramente l’urgenza di una legge sulla rappresentanza". È anche necessario, aggiunge la segretaria confederale, "introdurre criteri di classificazione dei contratti, per distinguere quelli di dimensione nazionale da quelli applicati nelle realtà territoriali limitate o nelle singole aziende, che tengono insieme primo e secondo livello di contrattazione”.
Inoltre, evidenzia Re David che “in alcuni settori, in particolare del terziario, contratti scaduti non vengono rinnovati da lungo tempo, non rispettando gli accordi interconfederali e gli effetti sono fortemente negativi sul salario dei lavoratori”. “Per sostenere la contrattazione è necessario definire meccanismi, anche legislativi, che disincentivano questa pratica da parte delle associazioni datoriali, una pratica - conclude Re David - che mette in discussione il valore del sistema fondato sulla contrattazione estesa”.