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Si chiude un anno nefasto. Un anno in cui il lavoro è stato difficile. Essenziale ma complicato dalla pandemia. Un’emergenza che si è andata a sommare a quella serie di fragilità che rendono il lavoro agricolo tanto frammentario e tanto esposto. Così il sindacato scende in campo. Lo fa in anticipo rispetto ai tempi dettati dalla burocrazia, e lo fa per stare il più vicino possibile alle lavoratrici e ai lavoratori. È iniziata in queste settimane la campagna della Flai Cgil per presentare le domande di disoccupazione agricola.
“Saremo impegnati da adesso fino al prossimo 31 marzo – spiega la segretaria nazionale Silvia Guaraldi – Già da diversi anni abbiamo preso l’abitudine di partire con molto anticipo rispetto alla scadenza Inps, questa volta lo facciamo a maggior ragione vista l’emergenza covid. L’impatto che la pandemia ha avuto su un sistema agricolo formato da piccole e piccolissime aziende sfugge e si somma a quelle interferenze che già normalmente condizionano il settore: penso alle alluvioni delle ultime settimane, alla siccità dei mesi scorsi o ai danni provocati dalla cimice asiatica. La stagionalità rende i lavoratori agricoli quasi dei lavoratori a chiamata e la disoccupazione è un’integrazione al reddito più che un ammortizzatore vero e proprio”.
Forse dire che la Flai Cgil scende in campo è improprio. La Flai – precisa Guaraldi - resta in campo. “Per noi è essenziale esserci: siamo un sindacato di strada e andiamo dove c’è necessità di andare. Lo facciamo da sempre. E lo facciamo anche con questa campagna che non può certo limitarsi alle vie telematiche. Le nostre sedi sono rimaste aperte tutto l’anno e, come accaduto anche in passato, stiamo organizzando appuntamenti ovunque, magari programmando tempi più lunghi e nel pieno rispetto delle normative anti-covid, ma senza fare un solo passo indietro. Tenteremo di andare nelle aziende più grandi e strutturate, ma saremo in ogni lega. Tanto per farvi capire quando con il decreto Cura Italia c’è stato il primo bonus per lavoratori e lavoratrici agricole abbiamo dato la possibilità di raccogliere le domande per via telematica ma abbiamo fatto anche il porta a porta. Siamo dove i lavoratori hanno bisogno di trovarci ovvero il più possibile vicino ai loro luoghi di lavoro e di residenza. Dalle case ai ghetti. Ci siamo con tutte le precauzioni possibili e non abbiamo alternative. Questo per noi è un momento importantissimo di tutela”.
Cerchiamo di capire come funziona questa tutela e perché la disoccupazione agricola, a dispetto del suo nome, non è un vero ammortizzatore sociale. In effetti la prestazione è proporzionale alle giornate lavorate perché si ha diritto al 40% del salario medio giornaliero. Più si lavora, più cresce l’integrazione. Nel momento in cui calano reddito e giornate lavorate diminuisce anche la disoccupazione agricola mentre manca una reale copertura come quella garantita da ammortizzatori sociali veri e propri. “Un tempo esisteva la cosiddetta calamità e, in quel modo, quanto meno sul sostegno al reddito c’era un ritorno. – precisa ancora Silvia Guaraldi – Oggi, dopo la riforma del 2007, la calamità diventa di fatto un diritto inesigibile perché i tempi di risposta delle assicurazioni non consentono ai lavoratori di accedervi. In questo modo ogni imprevisto rischia di comportare una doppia perdita: di lavoro e di reddito”.
Fare sindacato di strada, porta a porta, scendendo in campo è anche un’occasione per dare un volto a un lavoro estremamente volatile come quello stagionale, dove non esiste una struttura fisica come la fabbrica e dove le aziende spesso hanno solo uno o due dipendenti. “Il momento della presentazione della domanda della disoccupazione agricola ci offre l’occasione di capire, nel confronto vis a vis con i lavoratori, se ci sono problemi legati, ad esempio, al lavoro nero o grigio o al sottosalario. Non sempre questo sfocia in vertenze o denunce proprio perché gli stagionali vivono spesso in una condizione di timore e ricattabilità estremi. Noi però possiamo renderci conto delle dinamiche di sfruttamento. Si tratta, infatti, di uno dei pochi casi in cui siamo liberi di avere un contatto diretto con i lavoratori perché, in genere, accedere alle aziende agricole non è sempre semplice e, se è vero che ci sono territori virtuosi che fanno del lavoro di filiera un’eccellenza, ce ne sono altri in cui le produzioni e il lavoro sono molto frammentati, si pensi alle fragole o ai frutti della terra più delicati, di conseguenza l’incontro diventa ancora più complicato. Quindi questa per noi è davvero un’occasione per creare un legame. Non a caso è così che rinnoviamo una buona parte degli iscritti e delle iscritte alla nostra organizzazione”.
Non solo, perché di verifiche in quest’anno di emergenza ce ne sono tante da fare, in primo luogo per quanto riguarda le misure adottate dal governo per rispondere alla pandemia. “Se la campagna per bonus e indennità non si è mai interrotta per gli altri settori, i lavoratori agricoli non hanno avuto risposte pur non essendo affatto vero che il settore non ha pagato la crisi, piuttosto sembra rientrino nella categoria dei lavoratori essenziali ma dimenticati. Per questa ragione – conclude Guaraldi - abbiamo presentato degli emendamenti che prevedono l’estensione del bonus da 1000 euro anche al lavoro agricolo oltre al blocco dei registri anagrafici e all’esigibilità della vecchia calamità; è assolutamente ingiusto che per i lavoratori e le lavoratrici del comparto agricolo non sia più stato previsto nulla dopo i bonus di marzo e aprile e che ci si nasconda dietro la disoccupazione agricola, che, come dicevo prima, è una forma di integrazione al reddito più che un ammortizzatore sociale; essenziali ma dimenticati appunto, ancora una volta. È anche per questo che saremo in campo con ancor più forza e determinazione.”