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Siamo a fine ottobre ma per i cassintegrati siciliani la busta paga è ferma a luglio. L’assegno estivo è stato erogato solo qualche giorno fa. Per 28.000 lavoratori non resta che aspettare che arrivino anche agosto e settembre e poi chissà quando tutto il resto. Un migliaio di pratiche che ritardano presso l’Inps, il grosso invece presso l’ente previdenziale degli artigiani, l’Ebas. Eppure oggi a far paura non sono tanto le tasche vuote o le scadenze di fine mese quanto la minaccia che dalla cassa si passerà presto alla disoccupazione.
Tra queste migliaia di cassintegrati c’è anche Carmelo Arbusto. Classe 1968, un lavoro part-time in una ditta di pulizie. Fino a marzo, prima che i contagi esplodessero, lavorava quattro ore al giorno, per 900 euro al mese. Da aprile, invece, è in cassa integrazione. I soldi, però, non arrivano mai: “Il 24 luglio mi hanno pagato i 500 euro di aprile. I mesi di maggio e giugno sono arrivati il 3 ottobre. – racconta - Adesso sono in arretrato di quattro mensilità. E non è che mia moglie ha un lavoro stabile. Eppure se non ci fosse lei non saprei proprio come fare. Ci arrangiamo come possiamo. Le bollette da pagare ci sono. I nostri ragazzi - uno di diciassette anni, l’altro di tredici – vanno tutti e due a scuola. Ci aiutano i nostri genitori, i nostri familiari che quando possono ci fanno la spesa”.
Quando possono: perché il lavoro manca per tutti e i soldi anche. Ci si aiuta nel sacrificio cercando di allontanare il fantasma della disoccupazione. “Penso che saremo in cassa ancora per mesi, almeno fino a gennaio poi chissà. – continua Carmelo - Nella nostra impresa siamo cinque dipendenti, tutti nella stessa condizione, ma le commesse spariscono e il rischio che dalla cassa passeremo al licenziamento c’è”.
“In Sicilia – spiega il segretario regionale della Cgil Alfio Mannino – rischiavamo già di avere un effetto drammatico perché abbiamo perso 76.000 contratti stagionali. Oggi, con un totale di 140.000 addetti ancora in cig e la pandemia che morde, stimiamo che il 30-40% di questi lavoratori sarà oggetto di provvedimenti di ristrutturazione aziendale o chiusura. Significa 40-50.000 licenziamenti. Ecco perché a noi quel blocco serve”.
Il riferimento è al divieto di licenziare, finora imposto alle imprese dall’esecutivo, ma prorogato soltanto fino a fine anno. Cgil, Cisl e Uil vogliono che si protragga insieme alla cassa integrazione per covid anche nei mesi successivi, almeno per arrivare a primavera. In caso contrario, in Sicilia sono sicuri che dal primo gennaio i nuovi disoccupati si conteranno a decine di migliaia.
Carmelo spera che l’anno nuovo sarà meno duro e difficile di quello che stiamo attraversando: “È bello sapere che possiamo contare sulle nostre famiglie, che siamo uniti, ma il lavoro è lavoro e noi per vivere dobbiamo tornare a lavorare”.
A volte il ritorno al lavoro qui può sembrare un miraggio come all’ex Fiat di Termini Imerese. Un polo industriale per il quale sono stati fatti mille promesse e mille piani, finito vittima delle speculazioni e sempre in attesa di un rilancio. “Alla fine – spiega Alfio Mannino – nessun percorso è stato mai attivato davvero e il progetto che era in discussione rischia di essere fortemente rallentato proprio a causa di questa nuova crisi. Una volta le tute blu della Fiat erano 5.000, adesso ne è rimasto un migliaio, tra dipendenti diretti e indotto, coperto dagli ammortizzatori sociali. Sarebbe un errore, in una fase così complicata, rinunciare a farli tornare al lavoro perché oggi più che mai è importante dare un segnale positivo, marcare una differenza”.
Di un cambio di passo in realtà, avrebbe bisogno l’intero apparato produttivo siciliano: perché se è vero che i provvedimenti adottati in questi mesi dal governo nazionale hanno dato un qualche ristoro, lo scoppio della pandemia ha messo in evidenza tutte quelle fragilità strutturali a cui nessuno ha mai dato risposta. Così fa rabbia che dei tre miliardi di euro di finanziamenti europei che avevano ottenuto il via libera di Bruxelles a maggio, la Regione non abbia speso neppure un centesimo. Soldi che sarebbero serviti proprio per sanare ritardi e fragilità. Invece sono stati mesi durissimi e quelli che si prospettano non sembra saranno migliori: “Il settore del turismo è devastato. – commenta ancora il segretario della Cgil siciliana - I servizi socio-assistenziali hanno subito un colpo durissimo, i dati della cassa edile dimostrano un impatto drammatico sui salari dei lavoratori del settore. Nel commercio poi il covid è arrivato mentre già la rete della grande distribuzione annunciava chiusure drastiche e riorganizzazioni che in questa fase stanno accelerando”.
In compenso dal 1 ottobre, in Sicilia come nel resto del Sud, è in vigore la decontribuzione del 30%, misura annunciata come una boccata di ossigeno per il mercato del lavoro. “Invece non lo è. Non ha portato né nuova occupazione, né stabilizzazioni, né assorbimenti. È solo un taglio del costo del lavoro del quale beneficiano le imprese. E adesso che sento dire dal governo 'sblocchiamo i licenziamenti e, allo stesso tempo, incentiviamo le nuove assunzioni' penso che rischieremo di trovarci davanti a una tempesta perfetta che si tradurrà in una riduzione di manodopera, magari sostituendo chi ha più anzianità e più diritti con chi ne ha meno”.
A rileggerle così le parole di Carmelo Arbusto non sono altro che una conferma: il diritto da difendere adesso è il lavoro. Quello di qualità, quello che ti permette di vivere bene e non solo di sopravvivere. Un diritto che vale sempre, non solo ai tempi della pandemia.