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Sarebbe un colpo terribile per l’Irpinia, un territorio già gravato da un tasso di disoccupazione che ha ripreso a salire, raggiungendo il 15,3 per cento. Ma la chiusura dello stabilimento Novolegno di Pianodardine, zona industriale alla periferia di Avellino, sembra difficile da scongiurare. Il 20 febbraio scorso l’azienda ha comunicato la decisione di dismettere l’impianto e licenziare i 117 dipendenti: immediata la risposta di Fillea Cgil, Feneal Uil, Filca Cisl e Ugl, che hanno indetto lo sciopero a oltranza (due ore per ogni turno) e convocato assemblee, coinvolgendo anche le istituzioni locali. Ma nei due incontri che si sono succeduti da allora (l’ultimo è di venerdì 8 marzo) la società si è mostrata irremovibile, confermando la cessazione dell’attività. Una residua speranza è affidata ora al ministero dello Sviluppo economico: si tiene infatti oggi (giovedì 14 marzo) a Roma, presso la sede del dicastero, un vertice tra governo, azienda, Regione Campania e sindacati per cercare di trovare una soluzione.
La Novolegno è un'azienda del gruppo friulano Fantoni di Osoppo (Udine), fondato nel 1980, specializzato nella produzione di pannelli mdf (acronimo di medium density fibreboard, ossia pannelli di fibre di legno a media densità) per porte esterne e taglia-fuoco. A motivare la chiusura del sito avellinese sono “gli anni di significative perdite economiche”, come ha spiegato in una lettera ai dipendenti il proprietario Giovanni Fantoni (inviata il 27 febbraio scorso), causate da “una situazione di mercato con prospettive irreversibili, nonostante gli sforzi profusi per la competitività aziendale, legata al mutamento intercorso nella tipologia di imballo richiesta dalla grande distribuzione”. Una decisione, ha concluso l’imprenditore, che “non può più essere protratta anche per evitare maggiori danni al nostro gruppo”.
Attualmente i dipendenti sono in regime di contratti di solidarietà e la Novolegno aveva nei mesi scorsi già annunciato l’intenzione di procedere a 55 esuberi. Fillea, Feneal, Filca e Ugl precisano che, sebbene “le interlocuzioni non avessero avuto alcun esito positivo, vi era comunque una soluzione percorribile della proroga dell'attuale sostegno al reddito, accompagnando la sua applicazione con un piano industriale che garantisse la permanenza dell'opificio, con tutte le possibili uscite agevolate e anticipate legate alle nuove norme previdenziali e prevedendo investimenti sia sulla compatibilità ambientale sia sul ciclo produttivo”. Da un possibile esito positivo, anche se non indolore, si è invece rapidamente passati alla messa in atto della procedura di mobilità.
La vertenza adesso è sul tavolo del ministero dello Sviluppo economico. L’obiettivo minimo dei sindacati è quello di assicurare un reddito ai 117 dipendenti, guadagnando tempo utile per cercare nuove imprese disposte a investire, magari operando anche una riconversione produttiva. “Chiediamo l'utilizzo della cassa integrazione per cessazione attività in modo da consentire ai lavoratori di avere quantomeno un supporto economico per il prossimo anno, prima di ricorrere alla Naspi”, spiegano i sindacati, aggiungendo che “per 20-25 dipendenti ci sono invece le possibilità di accedere alla pensione”. Fillea, Feneal, Filca e Ugl puntano comunque a “mantenere in piedi lo stabilimento: c'è ancora linfa vitale nelle arterie della fabbrica, ci sono commesse, c’è un portafoglio di clienti consolidati, e le perdite che ci sono state finora sono dovute a fattori di marginalità e di mercato che possono essere risolti”.