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Gennaio di fuoco per le Acciaierie d’Italia. Martedì 10 si ferma il grande stabilimento di Taranto, mentre mercoledì 11 i lavoratori ex Ilva si concentreranno a Roma per una manifestazione nazionale. Una settimana dopo, giovedì 19 gennaio, il ministro delle Imprese Urso ha convocato i sindacati per discutere il futuro del gruppo siderurgico.
Futuro che passa, almeno per il momento, dal decreto legge approvato dal governo nella serata del 28 dicembre, denominato “Misure urgenti per impianti d'interesse strategico nazionale”. Il provvedimento (composto di dieci articoli) prevede che i 680 milioni già stanziati per l’ex Ilva possano essere subito utilizzati per un finanziamento soci, convertibile in un futuro aumento di capitale.
“Le decisioni prese dal Consiglio dei ministri – commenta il segretario generale Fiom Cgil Michele De Palma – non rispondono alle richieste avanzate né in materia di produzione, né in materia di occupazione, né in materia di ambiente e tutela della salute. Soprattutto non c’è risposta alla richiesta di pubblicizzazione avanzata dai sindacati a fronte delle inadempienze aziendali”.
Il segretario generale Fiom rileva che “l’assoluta mancanza di dialogo e confronto da parte del management aziendale e del governo rappresenta un ulteriore elemento di difficoltà, che si scarica sulla possibilità di definire una prospettiva certa per la risalita produttiva e per il rientro dei lavoratori dalla cassa integrazione, nonché per il destino degli addetti dell’ex Ilva in amministrazione straordinaria e delle imprese dell’indotto”.
Attualmente sono 3 mila (di cui 2.500 a Taranto) i lavoratori dipendenti di Acciaierie d'Italia in cassa integrazione straordinaria: la scadenza è a marzo, l’ammortizzatore sociale dovrebbe essere prorogato per un altro anno. A questi si aggiungono i 1.700 addetti in forza alla ex Ilva in amministrazione straordinaria (in cassa a zero ore da diversi anni).
La situazione a Taranto
Lo sciopero, indetto da Fiom Cgil, Uilm Uil e Usb di Taranto, in realtà durerà 32 ore: dalle ore 23 del 10 gennaio alle 7 del mattino del 12 gennaio. “Il decreto conferma - sottolineano i sindacati - la volontà di erogare i 680 milioni, già stanziati, in modalità finanziamento soci, ripristinando vergognosamente perfino lo scudo penale ai gestori del sito”.
Per Fiom, Uilm e Usb il Governo Meloni “si disinteressa completamente delle richieste di un intero territorio, cedendo ai ricatti di un operatore privato che si permette quotidianamente di prendersi gioco delle piaghe della nostra comunità, compiendo solo sgradevoli bluff e azioni incostituzionali”.
Le tre sigle, infatti, avevano inviato al governo “un messaggio forte e chiaro, ovvero di non erogare alcun ulteriore prestito pubblico in qualunque forma ad ArcelorMittal, socio totalmente inaffidabile e inadempiente, senza un preventivo riequilibrio della governance che, cosi come garantito dallo stesso ministro delle Imprese, avrebbe dovuto prevedere l'ingresso di Invitalia in maggioranza”.
L’esecutivo non ha voluto ascoltare i sindacati, concedendo invece il prestito. “Siamo in presenza di una resa incondizionata davanti ai privati”, concludono Fiom, Uilm e Usb: “Per il governo l'interesse generale coincide con quello predatorio e offensivo dell'attuale gestione societaria che porterà alla chiusura definitiva dello stabilimento, senza che ci sia stato alcun risanamento ambientale e cancellando di fatto l'esistenza di ventimila famiglie”.