Contratto di solidarietà al 40 per cento, a partire dal 1° febbraio e fino al 31 maggio prossimo. Questo l’accordo trovato, dopo una lunga e serrata trattativa, tra sindacati e la società di call center Callmat di Matera, che il 6 dicembre scorso aveva aperto una procedura di licenziamento collettivo per 252 lavoratori (su complessivi 381 addetti). A motivare la decisione aziendale era stato il costante calo di volumi delle attività di Tim sui servizi 119 lavorati da Callmat.

“Lo scorso 8 gennaio – spiega il segretario generale Slc Cgil Basilicata e Calabria Daniele Carchidi – si è svolto un incontro presso il ministero delle Imprese in cui era stato stabilito un percorso di impegno a risoluzione della vertenza con il coinvolgimento della Regione Basilicata e il committente Tim”. Da qui la chiusura della procedura di licenziamento e la sottoscrizione del contratto di solidarietà.

“Un ennesimo accordo difensivo che risolve, almeno per il momento, la vertenza Callmat”, prosegue il dirigente sindacale: “Una ulteriore crisi, frutto di un problema sistemico di settore, risolto con una intesa ‘tampone’ che prevede l'utilizzo di ammortizzatori sociali, in attesa di comprendere come la Regione Basilicata e il committente Tim terranno fede agli impegni assunti”.

L'accordo prevede comunque la possibile di uscita volontaria dall’azienda, agevolata da un incentivo all’esodo (l’importo sarà definito in un accordo successivo), mediante la sottoscrizione del verbale di “non opposizione” al licenziamento. La solidarietà (la cui quota massima media sarà del 40 per cento), sarà programmata a giornata intera, a rotazione per l’intero personale. Previsto per i dipendenti anche un pacchetto di formazione.

"Se non si interviene strutturalmente, attraverso interventi normativi e regolatori a tutela del settore, il 2025 dovrà affrontare ben altre crisi, con numeri ancor più drammatici”, conclude Carchidi: “Senza misure strutturali che diano regole certe, e puntino a considerare l'assistenza clienti come un valore aggiunto del ciclo produttivo, tenuto conto della tendenza delle committenze ad abbattere i costi e i servizi sul customer care, si rischia una bomba sociale per migliaia di lavoratori, operanti in particolare nelle regioni del Mezzogiorno, già devastate da percentuali di disoccupazione ben oltre la doppia cifra”.