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“Innovazione sociale e azione pubblica”. È l’argomento centrale (il Tema) del primo numero del 2019 de La Rivista delle Politiche Sociali. I curatori del volume, Andrea Ciarini e Stefano Neri, avvertono che esistono concetti e definizioni di innovazione sociale tutt’altro che univoci: così, nel saggio introduttivo, propongono una definizione di innovazione sociale come “… quell’insieme di nuove pratiche emerse per soddisfare bisogni sociali nuovi o rimasti senza risposta, capaci di modificare i comportamenti degli individui, delle istituzioni e degli attori sociali implicati nelle reti di governance…”.
Non solo. I curatori precisano anche che in un quadro di arretramento dell’offerta pubblica, di frammentazione istituzionale e di marcate differenziazioni territoriali, l’innovazione sociale è stata intesa (e agita) almeno in due opposte direzioni: la prima volta a ridurre l’intervento pubblico e favorire la privatizzazione dei servizi, la seconda, al contrario, rivolta a rigenerare e rilanciare l’azione pubblica e affermare diritti sociali, attivando processi di riorganizzazione riqualificazione, di integrazione fra i diversi attori del welfare territoriale, fondati sulla partecipazione.
I vari saggi che compongono la monografia propongono, da angolature diverse e con prospettive di analisi differenti, una riflessione sulle esperienze di innovazione sociale in Italia e in alcuni Paesi europei. Il primo (“Istituzioni del welfare e innovazione sociale: un rapporto conflittuale?”), di Tatiana Saruis, Fabio Colombo, Eduardo Barberis e Yuri Kazepov, offre una ricognizione della letteratura su innovazione sociale, governance e ruolo delle istituzioni. Vi viene evidenziato il rapporto – a volte conflittuale – fra dinamiche e attori della società civile agenti dell’innovazione e le istituzioni del welfare, segnalando che la letteratura di riferimento considera queste ultime sovente come un ostacolo a processi di innovazione. Tuttavia, proseguono gli autori, le istituzioni del welfare sono spesso promotrici e sostenitrici dei processi di innovazione sociale e dialogano con la società civile.
Nel secondo saggio (“L’innovazione sociale urbana tra sperimentazione di nuove forme di governance e disimpegno del welfare”), Luca Alteri, Adriano Cirulli e Luca Raffini osservano due tipologie di innovazione sociale urbana, caratterizzate da un nuovo rapporto tra attori pubblici, privati e terzo settore. La loro analisi si riferisce a due bisogni/diritti sociali: l’abitazione e il lavoro. I casi esaminati riguardano il cohousing e il coworking, che, secondo gli autori, permettono di analizzare nuove “socialità istituzionali” non prive di rischi: il primo è che finiscano per sostenere i soggetti già dotati di capitale e più privilegiati, alimentando quindi le disuguaglianze. Il secondo rischio invece riguarda l’utilizzo strumentale dell’innovazione sociale: caricare sugli individui quella che dovrebbe essere una responsabilità dei servizi pubblici, in questo caso i diritti alla casa e al lavoro.
Marta Bonetti, Venke F. Johansen e Matteo Villa, nel loro “Nelle pieghe dell’innovazione. Logiche di welfare in cambiamento in Italia e Norvegia”, mettono a confronto i processi di innovazione delle politiche sociali e del lavoro in Norvegia e Italia. Gli autori sottolineano come nel sistema norvegese l’innovazione organizzativa coinvolga tutti i livelli del sistema istituzionale, con un settore pubblico più aperto nel rivedere strategie e pratiche di apprendimento organizzativo. In Italia, invece, le spinte innovative vengono frenate da pressioni burocratiche.
“Amministrazione partecipata, dall’adempimento alla norma all’organizzazione per risultato” è il titolo del quarto contributo, di Giuseppe Della Rocca, nel quale viene evidenziata l’importanza delle esperienze di partecipazione dei lavoratori e dell’utenza nelle innovazioni organizzative. Si tratta di esperienze che si sono sviluppate nonostante le lacune della normativa dei contratti collettivi di lavoro e dalla contrattazione di secondo livello. Qui le esperienze mettono in evidenza come la partecipazione congiunta di lavoratori e utenza, se promossa e sostenuta, possa garantire migliori possibilità di innovazione.
Nana Wesley Hansen nel suo contributo (“Competizione o convivenza? Il coinvolgimento degli utenti e dei lavoratori nel sistema scolastico danese”) racconta come in Danimarca il coinvolgimento degli utenti sia un progetto politico di lungo termine, che si propone esplicitamente di rafforzare la democrazia e di ridurre la burocrazia. Il saggio analizza il rapporto tra il sindacato e le organizzazioni degli utenti della scuola dell’obbligo (la Folkeskole): dalla sua lettura apprendiamo che in Danimarca la contrattazione collettiva prevede il coinvolgimento dei lavoratori nei luoghi di lavoro, svolgendo così un ruolo più forte “nel generare e rafforzare la democrazia”.
Maurizio Busacca, con il suo saggio (“Vecchie professioni per nuove sfide: lavoratori sociali come broker dell’innovazione sociale”), mette in evidenza come le storiche figure del lavoro sociale, le assistenti sociali, possono giocare un ruolo decisivo nei processi di innovazione. L’autore offre tre studi di caso in Veneto: “Tre cuori” (una piattaforma di welfare aziendale), le “Alleanze per la famiglia” (una rete regionale per promuovere il welfare di comunità e le politiche di conciliazione tra tempi di vita e di lavoro) e i “Piani di intervento in materia di politiche giovanili” (un programma della Regione Veneto), che affrontano temi diversi tra loro, accomunati dal ruolo giocato dagli assistenti sociali come attori chiave nella sperimentazione di progetti innovativi.
Agnese Ambrosi affronta “La crisi del welfare locale nella città di Roma”. Il saggio tratta sia l’evoluzione del sistema di welfare dall’approvazione della legge 328 di riforma sociale nel 2000, che i rapporti tra pubblico e privato sociale nella capitale. Si parte dalla prima programmazione sociale di zona fino alla crisi intervenuta a seguito dell’inchiesta giudiziaria culminata negli arresti del dicembre 2014. Il contributo mette in luce un sistema di welfare “frammentato e fragile”, con un terzo settore centrale fino alle inchieste giudiziarie, e poi in crisi, assieme alla rappresentazione di un quadro di inadeguatezza del pubblico, dove però stanno crescendo dal basso esperienze auto-organizzate.
L’ultimo saggio della sezione monografica dedicata all’innovazione sociale è quello di Franca Maino e Federico Razetti (“Long term care: riflessioni e spunti dall’Ue, fra innovazione e investimento sociale”). Gli autori propongono una riflessione sul rapporto tra i bisogni indotti dall’invecchiamento demografico e i relativi processi di innovazione sociale, in riferimento alle scelte adottate in Italia e nell’ambito dell’Unione europea. Nel contributo, in cui vengono indicate come priorità l’integrazione tra le prestazioni cash e kind, la qualificazione dell’assistenza formale e il sostegno alla cura familiare, si segnala come l’innovazione sociale da sola non può compensare la bassa spesa sociale o il disimpegno pubblico.
Nella sezione Attualità del volume si tratta di “Europa e di rilancio delle infrastrutture sociali”, con tre interventi: il primo firmato da Romano Prodi ed Eduardo Reviglio (“Un new Deal per l’Europa”), il secondo di Laura Pennacchi (“L’Europa e i valori: depoliticizzazione, populismi, riorientamento normativo”), il terzo di Francesco Saraceno (“Liberista o niente? Il falso dibattito sulla moneta unica”).
Chiude il numero, come sempre, la sezione Dibattito, dedicata all’ultimo Rapporto Oxfam sulle disuguaglianze. Qui due articoli, il primo di Giovanni Gallo (“Quali evidenze e raccomandazioni dal Rapporto Oxfam sulle disuguaglianze? Un approfondimento per l’Italia”), il secondo di Mauro Migliavacca (“Eppur non si muove. Le ragioni di un’Italia diseguale”), fotografano un’Italia che non va, tra disuguaglianze crescenti, impoverimento e sfiducia, e propongono alcune risposte.
Stefano Cecconi è direttore de La Rivista delle Politiche Sociali