“Nei mesi di emergenza siamo stati messi a dura prova. È stato difficile superare il fatto che abbiamo dovuto assistere pazienti che sono usciti dalla terapia intensiva in un sacco nero, senza poter abbracciare i loro parenti o confrontarci con loro”. Le parole sono di Tatiana Irmici, infermiera, impegnata in prima linea in terapia intensiva Covid all’ospedale Del Ponte di Varese. Insieme ai suoi colleghi, ai professionisti e operatori sanitari, ai lavoratori e alle lavoratrici che in vario modo sono coinvolti nel funzionamento di un ospedale, oggi è scesa in piazza a Milano sotto Palazzo Lombardia per chiedere di ripensare l’ospedale per il futuro della sanità regionale nell’ultimo dei tre presidi organizzati da Cgil, Cisl e Uil e dalle rispettive categorie della funzione pubblica e dei pensionati. “Vogliamo che non accada più quello che è successo nei mesi scorsi. Occorre personale, questa è un’ovvietà, ma bisogna soprattutto cambiare la visione della salute. La politica sta pensando ai numeri, a far tornare ai conti e invece deve pensare alla cura del cittadino e dell’operatore sanitario”.
Come? Le proposte del sindacato sono contenute nel nuovo Patto per la sanità, per riavvicinare questo servizio al bisogno di salute. Innanzitutto usare le risorse per definire un piano di assistenza territoriale e per aumentare la disponibilità di posti letto di terapia intensiva e sub-intensiva. E poi riorganizzare le degenze ospedaliere, rivedere il piano sociosanitario regionale 2020-2024 predisposto dalla giunta prima dell’emergenza, programmare la formazione, tutelare il lavoro di tutti gli operatori del settore, anche dei somministrati e di chi fornisce servizi in esterno per contrastare discriminazioni e disparità di trattamento e rivedere la politica degli appalti.
“In questa emergenza più di qualcosa non ha funzionato, questo è evidente" spiega Luca Dall’Asta, infermiere all’ospedale di Oglio Po, nel cremonese, una struttura periferica e di confine. Il suo reparto di medicina generale a marzo nel giro di 24-48 ore è diventato un multispecialistico con terapia intensiva e pre-intensiva, pneumologia, malattie infettive, con pazienti che arrivavano da tre diverse province, tutti in urgenza, tutti gravi. “Facendo gioco di squadra, abbiamo messo in campo strategie per organizzare al meglio la situazione ma siamo stati in autogestione - racconta -. Al di là del problema della carenza di personale, che c’è sempre stato, abbiamo avuto un problema di gestione del personale. Occorre rivedere i modelli organizzativi, che siano attuali, più funzionali e modellati sulla realtà italiana. E una sanità pubblica diversa, e migliore, che integri realmente il territorio e l’ospedale”.
Riprese e video testimonianze a cura di Tiziana Altea