Un intervistato su due dichiara di essere in difficoltà economica. Il 4% del campione si dice costretto a fare debiti. Un ulteriore 7% è costretto a chiedere supporto alla propria famiglia o agli amici. Ma il dato sicuramente più preoccupante riguarda quel 12% dei lavoratori che era occupato prima dell’emergenza sanitaria e che ora - dopo la pandemia - non ha ancora ripreso a lavorare. Sono i dati contenuti nell’ultimo sondaggio dell’Osservatorio Futura della Cgil che ogni mese monitora la situazione economica e sociale del Paese utilizzando un campione rappresentativo di tutta la popolazione maggiorenne.

 


L'Italia mese per mese
Dai sondaggi realizzati mese per mese nel corso dell’anno del Coronavirus e soprattutto dai dati di questo ultimo mese emergono chiare le tendenze che stanno condizionando tutto il mercato del lavoro. Il primo dato chiaro riguarda l’anomalia positiva dell’Italia. Avendo applicato la norma del blocco dei licenziamenti è stata evitata (almeno in parte) una carneficina sociale. Nonostante questa importante diga, tante imprese del settore manifatturiero e soprattutto dei servizi oltre ad usare in modo massiccio gli ammortizzatori sociali (con in testa la cassa integrazione), hanno cercato di alleggerire il più possibile la propria forza lavoro. Dal sondaggio dell’Osservatorio Futura risulta che tra le cause che hanno determinato i licenziamenti ci sono il blocco dell’intero settore di attività (16%), la cassa integrazione, la perdita del lavoro a causa della crisi economica e un fatto considerato “oggettivo” per le imprese: essendo l’attività organizzata sulla presenza fisica e sul contatto diretto con i clienti l’isolamento della pandemia ha determinato il venir meno delle condizioni dei contratti.

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Nuovi disoccupati
Scendendo nei particolari del sondaggio scopriamo che su 2001 interviste (il campione rappresentativo) i ricercatori dell’Osservatorio Futura hanno evidenziato la storia di 1367 persone che lavoravano regolarmente prima dello scoppio della grande pandemia. La maggioranza di loro, finita la crisi, ha ripreso l’attività. Ma tra questi casi ci sono anche 167 persone che non sono state fortunate e hanno perso il lavoro. Le motivazioni, come abbiamo appena spiegato, sono legate a varie ragioni economiche, ma spiccano due voci da quelle estrapolate dalle interviste: i licenziamento e il mancato rinnovo del contratto. Insomma tra quel 12% di persone che hanno perso il lavoro con la pandemia e non hanno ancora ricominciato a lavorare c’è un 10% che è stato direttamente licenziato (aggirando quindi le norme sul blocco) e un 8% che ha perso il lavoro perché l’azienda ha deciso di non rinnovare il contratto in scadenza. Tra le donne il 3% ha perso il lavoro a causa di una maternità che ha determinato il taglio del contratto (i diritti in alcuni settori sono ancora miraggi). Tra quelli che hanno smesso di lavorare con la pandemia troviamo anche un 7% di pensionandi.

 

Ansie nazionali
Gli italiani manifestano una forte ansia per la situazione economica e lavorativa personale e dei propri cari. In generale il livello di preoccupazione per la condizione socio-economica familiare risulta in crescita nei rapporti dell’Osservatorio di marzo, aprile e maggio. Le aspettative degli italiani (per la situazione economica del Paese e per quella familiare), pur confermandosi su valori deboli, mostrano qualche segnale di miglioramento, ma un italiano su 3 continua a temere un peggioramento della situazione economica nazionale nei prossimi 12 mesi e un italiano su 5 prevede un peggioramento della propria situazione economica. Alla domanda su quali sono le principali criticità che il nostro Paese deve affrontare, gli intervistati mettono al primo posto il lavoro, seguito dalla sanità e dalle scelte economiche. In particolare la disoccupazione si conferma la preoccupazione maggiore per gli italiani. Tra le paure è diventata un incubo per molti.

Intanto per i fortunati che lavorano, si registra un peggioramento delle condizioni di lavoro. Il 24% degli occupati intervistati a maggio 2021 (era il 23% a aprile) dichiara un peggioramento delle proprie condizioni lavorative negli ultimi 2 mesi. Per il 10% degli occupati le condizioni sono peggiorate nettamente: questa situazione è più frequente per le categorie di lavoratori più fragili: le donne, gli anziani, le Partite Iva e i Colletti Blu. Tra gli iscritti ai sindacati le condizioni di lavoro hanno registrato una tenuta maggiore.


Uno sguardo all'Europa
Le cose non vanno affatto bene neppure nel resto dell’Europa anche se l’Italia sembra accusare di più il colpo. L’Eurostat non considera più solo i dati sulla disoccupazione ma usa il parametro della domanda di lavoro non soddisfatta (ovvero la differenza tra la quantità desiderata di lavoro dei lavoratori e la quantità di lavoro retribuito disponibile). Secondo Eurostat questo è un indicatore valido da tenere in considerazione per misurare l’entità della crisi pandemica. La domanda di lavoro insoddisfatta comprende, oltre ai disoccupati, i lavoratori a tempo parziale che vogliono lavorare di più, le persone che sono disponibili a lavorare ma non cercano lavoro e le persone che cercano lavoro, ma non sono immediatamente disponibili.

L’Osservatorio Futura ha analizzato anche i dati  Eurostat per quanto riguarda in particolare il nostro Paese. A confronto con gli altri Paesi Membri dell’Ue, l’Italia si trovava già prima della crisi in una situazione debole; ha poi subito una contrazione degli occupati (-425 mila unità) superiore alla media Ue nel 2020 (-1,9%), tra il quarto trimestre 2020 e dodici mesi prima, a confronto con una frenata del -1,3% a livello Ue.

Sempre meno occupati
L’Italia ha visto diminuire il tasso di occupazione nel 2020 più della media Ue e ha visto aumentare durante il 2020 la quota di domanda di lavoro non soddisfatta (+0,9 p.p.) meno della media europea. Dopo un primo semestre particolarmente negativo, ha visto un rimbalzo nell’occupazione a partire dal terzo trimestre 2020 più forte della media europea (+1,8% vs +1,1%). Oltre che nei confronti dei giovani (la categoria più colpita), la crisi ha avuto ripercussioni negative più forti nelle fasce più adulte 25-54. Ci sono stati poi forti effetti negativi sul tasso di occupazione femminile più alti che in altri Paesi. Infine l’Italia vanta anche un altro record: il più alto livello di lavoratori a tempo parziale sotto-occupati.

Grafiche a cura di Antonella Lupi

Il rapporto completo dell'Osservatorio Futura