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L’emergenza sanitaria e la serrata che ne è seguita hanno colto il comparto delle terme in un delicato periodo di transizione, vissuto diversamente dai vari stabilimenti distribuiti sul territorio nazionale. All’arrivo del Covid-19 qualcuno stava facendo ancora i conti con il declino del modello tradizionale di accoglienza termale, altri avevano rinnovato il profilo dell’offerta puntando sul wellness e intercettando nuovi flussi turistici, altri ancora stavano facendo le spese dei rapporti usurati con il sistema sanitario nazionale, sempre meno attento all’efficacia curativa delle acque termali e meno incline a prescriverle ai pazienti. Le strutture sono state riaperte alla metà di giugno, anche se solo parzialmente, con servizi limitati e l’attività condizionata dalla necessità di rispettare il distanziamento sociale.
I primi a pagare le conseguenze del lockdown e l’assenza di arrivi dall’estero sono stati gli stabilimenti con una più spiccata vocazione turistica, ma anche le vecchie strutture con costi alti di manutenzione hanno subito un forte contraccolpo, come pure gli stabilimenti più legati alla domanda del Sistema sanitario nazionale, fatta eccezione per i più piccoli e di più facile gestione, che hanno retto meglio: il mondo termale, nelle sue varie declinazioni e sfumature, raccoglie quasi 12 mila lavoratori, ai quali si aggiungono quelli impiegati su base stagionale.
“Un patrimonio di professionalità scarsamente considerato” spiega Luca De Zolt, Filcams Cgil nazionale. “L’operatore termale è una figura professionale non ancora riconosciuta solo in pochissimi ambiti, con l’unica eccezione della regione Toscana. L’impegno che era stato preso per un percorso di formazione e di riconoscimento formale è rimasto sulla carta: ai corsi non fa seguito una vera e propria qualifica per gli addetti che effettuano trattamenti specializzati, dall’applicazione dei fanghi ai fumi”. Quello che manca al mondo termale italiano è poi, secondo De Zolt, una sorta di identità di sistema nazionale, in grado di raccogliere le diverse realtà e renderle unitariamente competitive, a livello globale: “Ungheria, Croazia e Slovenia si promuovono come sistema Paese, da noi invece è tutto parcellizzato”. “Molte strutture sono indebitate – aggiunge De Zolt – e la privatizzazione prevista dal decreto Madia significherebbe l’ingresso di soggetti privati in situazioni debitorie, che andrebbero risolte prima. In Parlamento si è discusso il sostegno al settore, per il quale sarebbe necessario un intervento legislativo corposo: ma questa legislatura, a differenza della precedente, non ha neanche incardinato il progetto”.
“Il termalismo sociale è tramontato alla fine degli anni ’80 – racconta Maurizio Miati, Segretario della Camera del lavoro di Salsomaggiore Terme – prima di allora era possibile usufruire di cicli completi di cure termali rimborsati totalmente dal Sistema sanitario nazionale, soggiorno compreso, ma lo Stato ha smesso di investire introducendo il ticket, fino ad arrivare a liberarsi delle terme Ex Eagat alla fine degli anni ’90, con il governo Prodi e la legge Bassanini, che le ha concesse ai territori a titolo non oneroso”. La cittadina emiliana, in passato perla del termalismo europeo e ritrovo del jet set, dopo la prima forte contrazione seguita al venir meno del termalismo assistito, ha visto le Terme di Salsomaggiore diventare una partecipata tra Comune, Provincia e Regione, successivamente fusa con le Terme di Tabiano, comunali. “È stato consentito al territorio di appropriarsi di beni fondamentali, ma poi con la crisi del settore e i successivi tagli alla spesa pubblica queste strutture sono state private di fondi e finanziamenti e sono state costrette a limitare fortemente le proprie strategie, a partire da quelle promozionali. Alcuni stabilimenti , come l’istituto Carlo Jucker, le Terme Giacomono Tommasini di proprietà Inps e la Casa del Bambino, sono stati chiusi, il Consorzio pubblico Baistrocchi è entrato in crisi”. Tra le rinunce l’uso degli informatori scientifici, la cui mancanza ha marcato ulteriormente la distanza dal Sistema sanitario nazionale, soprattutto dai medici più giovani, per i quali le terme sono uno strumento curativo obsoleto.
*I primi dati della riapertura delle Terme di Salsomaggiore e Tabiano e dell’Istituto Termale Baistrocchi ad oggi sono preoccupanti, spiega Miati: si parla di un calo del 65/70%, anno su anno. “Prima del Covid si lavorava per frenare il calo storico e il 2020 poteva essere un anno di svolta. Le aziende private nate dalle ceneri di due concordati - l’una già proprietaria, l’altra in affitto - avevano annunciato investimenti e Parma era la capitale della cultura”. Il quadro adesso è completamente diverso, non tutti gli alberghi hanno riaperto, gli ammortizzatori hanno tardato ad arrivare e i bonus per gli stagionali del termale – 600 euro a marzo e aprile e 1000 a maggio – non sono arrivati a tutti quei lavoratori che, pur lavorando di fatto come stagionali, non sono riconosciuti come tempi determinati, rimanendo così esclusi da qualsiasi aiuto. “Anche il decreto interministeriale del 13 luglio, pur essendo un provvedimento per il quale ci siamo battuti, così come promulgato fornisce una parziale risposta, escludendo una parte dei tempi determinati”.
Il lavoro degli stabilimenti nel frattempo è diventato complicato e oneroso: servizi su prenotazione, ingressi contingentati, strumentazione monouso e dpi per i lavoratori. Il settore ha bisogno di una spinta. ”È necessaria una politica di revisione delle tariffe – conclude Miati – e sarebbe d’aiuto se le aziende sanitarie territoriali anticipassero una parte di quanto le aziende pubbliche versano alle terme per le prestazioni del Sistema sanitario nazionale. Senza interventi, auspicabilmente mirati e a fondo perduto, è davvero difficile che le aziende termali riescano a riprendersi da sole”
L'articolo è stato pubblicato da Il Magazine - Speciale Turismo della Filcams Cgil