Sette giorni su sette, per dieci ore al giorno. Pochissime tutele sociali, un elevato rischio di infortuni, pensioni che saranno del tutto insufficienti. Lavorano così i rider delle nostre città, con ritmi insostenibili e paghe da fame. Per poter sopravvivere fanno turni massacranti e neppure un giorno di riposo. La maggior parte di loro guadagna in media dai 2 ai 4 euro lordi a consegna, su cui vanno anche pagati tasse e contributi.

La condizione dei rider

La fotografia di come lavorano, o meglio vengono sfruttati, i rider nel Belpaese emerge dall’inchiesta su ”La condizione di lavoro dei rider nel food delivery”, lanciata a giugno 2024 da Nidil Cgil, i cui primi risultati sono stati presentati nella tavola rotonda organizzata dal sindacato degli atipici il 30 gennaio a Roma, nella sede nazionale della confederazione e in diretta su Collettiva, dal titolo “Lavoro digitale e diritti. Verso l’attuazione della direttiva europea”

Un’iniziativa che si inserisce nel percorso che la Cgil ha avviato per i referendum sul lavoro e sulla cittadinanza, affinché il lavoro torni al centro del dibattito pubblico, non solo per il sindacato, ma per l’intera società.

Uomini, giovani, italiani

L’indagine ha raccolto le risposte di 424 lavoratori distribuiti su tutto il territorio, un campione rappresentativo che ha evidenziato problematiche e dinamiche comuni. I ciclofattorini sono prevalentemente uomini (il 91 per cento) e giovani: il 65 per cento ha un’età compresa tra i 21 e i 39 anni, con una maggiore concentrazione nella fascia 40 - 59 anni (28 per cento). Oltre la metà dei partecipanti è di nazionalità italiana, seguiti da una significativa presenza di lavoratori stranieri, soprattutto provenienti da Paesi extraeuropei.

Senza tutele

Il 56,81 per cento svolge l’attività a partita Iva, il 34 opera con collaborazioni occasionali, una parte residuale lavora con rapporti subordinati. In pratica, oltre il 90 per cento opera con contratti che non garantiscono tutele fondamentali.

Quanto alla disponibilità, un quarto dei rider lavora oltre le 10 ore al giorno, il 40 per cento è disponibile tra 7 e 10 ore al giorno, il 61 per cento effettua più di 8 consegne al giorno, percorrendo in media più di 20 chilometri. Questi dati dimostrano che i turni sono intensivi e che c’è una pressione costante per massimizzare i guadagni. Che, appunto, sono miseri.

Guadagni miseri

Se la maggioranza riesce a portare a casa tra 2 e 4 euro lordi a consegna (il 57 per cento), solo il 10 per cento percepisce più di 6 euro. In una settimana la metà del campione guadagna tra 50 e 200 euro lordi, insufficienti a garantire una stabilità economica.

Anche perché a incidere sul reddito netto sono le spese: il 31 per cento dei rider intervistati dichiara di spendere oltre 200 euro al mese per carburante, manutenzione del mezzo o noleggio. Alcuni rifiutano anche qualche consegna: il 66 per cento lo fa soprattutto per compensi troppo bassi o distanze eccessive. Le piattaforme più gettonate? Deliveroo e Glovo, mentre Just Eat è scelta solo dal 14 per cento degli intervistati.

La punta dell’iceberg

“I rider sono la punta dell’iceberg di un modello di organizzazione del lavoro che non solo sfrutta le persone scaricando su di loro ogni responsabilità – afferma Roberta Turi, segretaria nazionale Nidil Cgil -, ma le mette anche in competizione, creando una continua guerra tra poveri. È davvero questo il lavoro che vogliamo? È questo il futuro che desideriamo per le nuove generazioni, nell’era dell’intelligenza artificiale e degli algoritmi?”.

Per il sindacato i dati emersi dall’indagine rappresentano una base solida per aprire un confronto con le istituzioni e le piattaforme, partendo dalla necessità di recepire in modo ambizioso la direttiva europea sul lavoro su piattaforma entro dicembre 2026. E sono tanti i punti fermi che vanno messi.

Recepire la direttiva europea

“La direttiva europea deve porsi l’obiettivo di eliminare l’uso indiscriminato di forme di lavoro autonomo per attività che non hanno nulla di autonomo – prosegue Turi -. Inoltre c’è la necessità di garantire la trasparenza degli algoritmi, impedire ogni forma di discriminazione e permetterne la contrattazione con i sindacati”.

Un altro elemento qualificante è l’organizzazione del lavoro, che deve essere condivisa per non ledere la salute e la sicurezza delle persone e per garantire ritmi sostenibili.

“Le piattaforme non possono pensare di gestire il lavoro senza una presenza umana – aggiunge l’esponente sindacale -. Il valore delle relazioni umane è fondamentale per garantire dignità a chi lavora. Non possiamo accettare un futuro in cui sia esclusivamente un’intelligenza artificiale a decidere per noi. Restiamo umani. Per questo è essenziale discutere della direttiva europea e fare in modo che venga recepita con l’obiettivo di garantire davvero condizioni di lavoro migliori”.