PHOTO
Nella guerra contro il Coronavirus, in prima linea ci sono senza dubbio i tantissimi medici e operatori sanitari impegnati senza sosta a fronteggiare gli effetti pesantissimi dell’epidemia. Accanto a loro, però non vanno dimenticate le migliaia di lavoratrici e lavoratori dei servizi di vigilanza, di ristorazione e di pulizie senza i quali non sarebbero garantite le condizioni igieniche e di sanificazione che impediscono, negli ambienti più a rischio, il propagarsi del contagio. Migliaia di addetti, con stipendi bassi impegnati quotidianamente da ormai quasi un mese, con turni che spesso non prevedono riposi, 7 giorni su 7. Ma a che condizioni? La situazione per loro non è certo facile, tra la paura di poter entrare in contatto con soggetti malati, o semplicemente a rischio di contagio, e le difficoltà a reperire spesso anche i più semplici dispositivi di prevenzione, come mascherine e guanti.
E se nei primi giorni di emergenza non ci si è preoccupati, certi che in pochi giorni Asl e aziende d’appalto avrebbero provveduto a prendere le dovute precauzioni, a quasi un mese dai primi drastici provvedimenti di chiusura disposti dal governo non è più tollerabile il fatto che tanti lavoratori non dispongano ancora dei dispositivi adeguati e a norma, pur garantendo servizi fondamentali. Pur registrando come ci siano realtà dove la situazione è sotto controllo e le imprese e le aziende sanitarie stanno dotando il personale dei servizi di pulizia dei necessari Dpi, le denunce arrivano da molte realtà, ne segnaliamo due emblematiche, che pur nella specificità, possono dare un’idea chiara di come, in varie realtà, si stia affrontando l’emergenza con molta responsabilità e spirito di sacrificio per colmare la carenza di coordinamento tra strutture, sanitaria e dei servizi, provando a superare difformità di trattamento tra personale che opera tutto all’interno dei presidi sanitari, per non rischiare di mettere in pericolo gli standard di sicurezza degli stessi presidi.
VENEZIA
Qui gli addetti alle pulizie del nuovissimo ospedale dell’Angelo di Mestre lavorano ancora senza mascherine (l’appaltatrice, una nota multinazionale francese, dice non essere di propria competenza fornirle, così come l'Asl3 Veneto) e si portano a casa le divise da lavare. Caterina Boato e Andrea Brignoli – rispettivamente segretaria generale e segretario provinciale Filcams Venezia – sono preoccupati per una situazione che ad oggi non ha apparente via d’uscita. “Abbiamo chiesto all’azienda l’impegno a darsi da fare – riferiscono – senza ottenere però alcuna assicurazione o tempi certi di intervento”. Boato e Brignoli puntano il dito non solo sull’azienda ma anche su Regione e Asl3, che all’inizio dell’emergenza hanno minimizzato il rischio e ancora non riescono a darsi un coordinamento per operare all’unisono con le imprese d’appalto. “L’impegno – dice Brignoli – è grande, per garantire tutti insieme la sicurezza degli ospedali, ed ancora di più lo sarà nei prossimi giorni, con una intera struttura ospedaliera, Villa Salus di Mestre, che sarà destinata a reparto Covid-19. Come intendono tutelare, Asl e azienda, i lavoratori? Continueranno con le scaramucce su chi debba fornire i presidi o lavare le uniformi?”
GENOVA
Dalla Liguria la denuncia si leva per le procedure a garanzia della sicurezza, ancora molto confuse nell’interpretazione della normativa. Ogni singola Direzione sanitaria applica dei protocolli spesso molto diversi, e per i lavoratori impegnati nei reparti e negli ambienti comuni ospedalieri la confusione sulle procedure si affianca alla paura di dover affrontare il rischio senza gli strumenti adeguati. “Le aziende – spiega Nicola Poli di Filcams Cgil Genova – non possono essere il perno della sicurezza, devono attenersi alle disposizioni delle direzioni sanitarie, che al momento non mostrano alcun coordinamento tra loro”. Se al Gaslini, ad esempio, i protocolli sui controlli agli accessi del personale sanitario e ausiliario sono rigidissimi, all’ospedale civile San Martino i controlli sugli addetti vengono eseguiti sì ma con ritardo rispetto al rapido propagarsi dell’infezione e pure le indicazioni sui presidi da utilizzare sono contrastanti. “Da lunedì scorso – prosegue Poli – vanno ripetendo che per entrare in reparto è sufficiente la mascherina chirurgica, salvo poi fornire quelle FPP2 e FPP3 indicate dalla normativa nazionale non appena abbiamo minacciato di non entrare più in struttura se non con presidi idonei”. Rispetto ad altre situazioni, a Genova le tre aziende d’appalto non hanno mai fatto mancare abbigliamento e presidi di prevenzione adeguati, anche se iniziano a scarseggiare. “Ne sono arrivate in questi giorni 50mila – riferisce Poli – che la Protezione Civile smisterà per i diversi servizi che ne necessitano. Abbiamo chiesto che tra i destinatari figurino a pieno titolo anche gli addetti alle pulizie ospedaliere”.
In questi drammatici giorni, le lavoratrici e i lavoratori delle pulizie sono in prima linea, come molti altri, con abnegazione, impegno, serietà e senso di responsabilità. Sono lavoratrici e lavoratori che hanno una paga oraria di poco più di 7 euro lordi; i full time, che sono la minoranza, a fronte di 40 ore settimanali guadagnano circa 1000 euro, i part-time 500/600 euro al mese. E, a peggiorare il quadro, sono 7 anni che non vedono rinnovato il loro contratto nazionale, perché le imprese chiedono in cambio di togliere la retribuzione dei primi 3 giorni di malattia. Nonostante tutto e con responsabilità per l’utilità del lavoro che svolgono, continuano a essere presenti all'interno dei reparti degli ospedali, entrando in costante contatto con personale sanitario e pazienti. Poche le assenze, si danno tutti da fare, si sentono parte di una missione fondamentale per il bene dell’intera collettività. Oggi si nota quanto importante sia il loro lavoro, troppo spesso invece sono lavoratori invisibili.
"Abbiamo paura. Non solo per noi stessi – è il grido di allarme lanciato dalle lavoratrici e dai lavoratori – o per i nostri familiari; abbiamo paura di diventare possibile veicolo del virus sia dentro che fuori dagli ospedali, mentre torniamo a casa con i mezzi pubblici o mentre ci fermiamo a fare la spesa in qualche supermercato, per questo è indispensabile che sia garantita anche la nostra protezione e la nostra sicurezza”.
La Filcams Cgil nazionale, unitamente alle altre organizzazioni sindacali di categoria, nei giorni scorsi ha inviato una lettera al presidente del Consiglio, ai Ministeri e alla Protezione Civile per chiedere attenzione per queste lavoratici e lavoratori, affinché vengano dotati di dispositivi individuali di protezione e delle giuste misure di sostegno per permettere che prestino la loro importante attività in sicurezza, per la loro salute e per quella di tutti.