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Le lettere di licenziamento sono del 19 febbraio scorso, appena quattro giorni prima del blocco degli esuberi imposto dal governo per l’emergenza coronavirus. Un blocco che, però, ha impedito loro di scioperare e di mobilitare l’opinione pubblica. A perdere il posto di lavoro sono i 76 ricercatori della Rottapharm Biotech di Monza, società attiva nella scoperta e nello sviluppo di farmaci innovativi, dal 2014 di proprietà della famiglia Rovati. L’azienda ha deciso di dismettere i propri laboratori, dichiarando “di aver investito 100 milioni di euro in cinque anni senza alcun ritorno” e di volersi orientare “all’individuazione e al finanziamento mirato di progetti di ricerca universitari o di piccole biotech innovative e altamente specializzate”. Giovedì 14 maggio la vertenza arriverà al ministero del Lavoro, ma i 76 licenziamenti (di cui 68 in Brianza e otto a Trieste) sembrano ormai considerati un dato acquisito. La trattativa, infatti, sarebbe centrata sull’incentivo economico. “Riteniamo che la proprietà – spiegano Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec Uil territoriali – abbia un obbligo morale con i suoi lavoratori, che hanno un’anzianità media molto elevata: trattarli come persone e come gli altri lavoratori licenziati nelle procedure precedenti, riconoscendogli un indennizzo che permetta loro di affrontare il futuro con più serenità e non con l’acqua alla gola”.
“L’ennesima riorganizzazione che nasconde inevitabilmente lo spettro di possibili esuberi. Un’impostazione che rifiutiamo”. Così la Rsu (Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm Uil) di Wärtsilä, azienda finlandese specializzata nella fabbricazione di sistemi di propulsione e generazione d’energia per uso marino e centrali elettriche, ha rivelato le possibili ripercussioni in Italia del piano di esuberi annunciato dalla multinazionale. Il 5 maggio scorso, infatti, la casa madre di Helsinki ha comunicato la volontà di avviare 750 licenziamenti (su 19 mila dipendenti in tutto il mondo), di cui il 45 per cento di dirigenti e quadri, soprattutto nel comparto della motoristica navale. Nel nostro Paese Wärtsilä è presente con lo stabilimento principale di Trieste (1.100 dipendenti) e le tre sedi service di Genova, Napoli e Taranto (complessivamente altri 200 addetti). Per ora non si hanno numeri precisi sul “dimagrimento” degli impianti nazionali, anche se le prime indiscrezioni parlano di circa 70 esuberi. Mercoledì 13 maggio si terrà in videoconferenza il coordinamento sindacale nazionale, si attende qualche notizia in più e l’eventuale annuncio dell’avvio della mobilitazione.
Una mobilitazione già in atto, invece, è quella dei lavoratori della Banca Popolare di Bari. Il progetto di riorganizzazione dell’istituto di credito, annunciato il 16 aprile scorso, prevede 900 esuberi (su 3.300 dipendenti) e 94 filiali (su 291) chiuse in tutta Italia. “Non ci è stato presentato un piano industriale, bensì un piano di tagli lineari di personale e sedi”, spiegano il segretario generale Cgil Puglia Pino Gesmundo e la segretaria generale Fisac Cgil regionale Lia Lopez: “Ci aspettavamo risposte sul modello di banca al servizio delle imprese e delle famiglie, invece non è chiaro quali saranno l’offerta di prodotti e le condizioni alla clientela, non è chiaro come si distribuirà nei vari territori in cui dovrebbe continuare a operare. Vogliamo sapere cosa si intende fare per il territorio, per gli azionisti delusi, per salvaguardare i livelli occupazionali”. Particolarmente pesanti sono le conseguenze in Calabria, dove verrebbero chiuse sei filiali (Amantea, Casali del Manco, Rende, Scalea, Trebisacce e Lamezia Terme) su sette. “In un momento così delicato per il Paese e per il Sud – commenta il segretario generale Fisac Cgil Cosenza Dario De Santis – non possiamo accettare che, anche stavolta, le responsabilità altrui vengano scaricate sulla pelle delle lavoratrici e dei lavoratori con tagli inaccettabili, esternalizzazioni, chiusura di filiali, demansionamenti e mobilità selvaggia, sia professionale sia territoriale”.
Tornano a tremare i lavoratori di Almaviva. Alla fine di aprile Sky ha annunciato la cassazione per il 30 giugno prossimo del contratto con l’azienda di call center. Una decisione che riguarda direttamente 250 dipendenti della sede di Palermo e 60 degli uffici di Milano. Slc Cgil, Fistel Cisl, Uilcom e Ugl, da un lato, chiedono un confronto con la Regione Sicilia e la piattaforma tv allo scopo di “modificare le posizioni annunciate per trovare soluzioni a tutela della piena continuità lavorativa sul territorio di Palermo”, dall’altro, sollecitano i ministeri del Lavoro e dello Sviluppo economico al “ripristino urgente” del tavolo permanente sul settore. Il segretario generale Slc Cgil Palermo Maurizio Rosso, dopo aver ricordato che così si “abbandonano centinaia di lavoratori al loro destino”, rimarca l’assoluta necessità di “un incontro tra le parti sociali e il governo affinché si possa pervenire a un piano industriale, sfruttando le opportunità che la rivoluzione digitale e tecnologica impone”.
Sempre in tema di commesse, a rischio sono anche i 210 posti di lavoro (su complessivi 400) della BCube di Villanova d’Asti. L’azienda, specializzata nella gestione lineare e integrata di processi complessi, ha dichiarato che il 30 giugno prossimo scadrà la commessa con Fca. “La società – spiegano Cgil Asti e Filt Cgil Piemonte – ci ha informati del fatto che Fca non ha mai risposto alle numerose sollecitazioni che sono state inviate, da parte della BCube, al fine di addivenire alla definizione di una nuova commessa su nuove basi commerciali”. Il sindacato rileva che “la notizia cade come un fulmine a ciel sereno, per quanto già nel mese di febbraio ci era stato riferito di difficoltà della trattativa”. Cgil e Fisac ritengono che quello “della logistica sia un settore strategico per lo sviluppo occupazionale della nostra Provincia. Il venir meno della commessa di Fca in una struttura collocata sul nostro territorio, dunque, potrebbe determinare un effetto domino, con centinaia di posti di lavoro a rischio. Un territorio che vede già un’alta percentuale di persone senza occupazione e in cui, da anni, non si vede il sorgere nuovi insediamenti produttivi”.