La rappresentanza è il nucleo dell’azione sindacale. Il presupposto stesso che rende possibile quelle azioni che – sul piano individuale e collettivo – hanno come obiettivo il miglioramento delle condizioni di lavoro. A partire dal salario, ovviamente, ma non solo: questioni di genere, precarietà, organizzazione, qualità e condizioni di lavoro, benessere, salute e sicurezza, migranti, energia e ambiente.

Non poteva dunque mancare un capitolo dedicato a questo tema nell’inchiesta nazionale sulle condizioni e le aspettative delle lavoratrici e lavoratori promossa dalla Cgil nazionale, coordinata dalla Fondazione Di Vittorio e condotta in collaborazione con le strutture della Confederazione. L’indagine, coordinata da Daniele Di Nunzio della Fondazione Di Vittorio, ha raggiunto 31 mila lavoratrici e lavoratori di tutti i settori pubblici e privati, tutte le dimensioni di impresa, tutte le tipologie contrattuali e anche a chi era senza contratto o disoccupato.

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Quando il lavoro non paga

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Chi sono gli iscritti, perché ci si iscrive (o non iscrive) al sindacato, per quale motivo si decide di diventare rappresentanti sindacali, cosa si chiede al sindacato, come migliorare la sua azione, quali servizi si ritengono necessari, che tipo di interlocuzione avere con la controparte aziendale o la sfera politica: sono questi i temi centrali che emergono dalle questioni poste al campione di intervistati. “Sono snodi di grande rilevanza politica, per le implicazioni riguardo alle aspettative individuali rivolte al sindacato, molto utili per migliorare la propria azione”, commenta Salvo Leonardi, ricercatore della Fondazione Di Vittorio e curatore del capitolo.

Gli iscritti e le iscritte: questione (anche) di genere

Il 63,5% del campione si dichiara iscritto a un sindacato e non rappresentante. I rappresentanti (Rsu o Rsa o Rls) sono il 18,7%. Le donne rappresentano il 54,4% del totale dei rispondenti, ma vanno in minoranza, al 42,1%, tra i rappresentanti sindacali. "Questo dato – commenta Leonardi – dimostra che sulle politiche di genere, sia nell’organizzazione sia nei luoghi di lavoro, c’è ancora lavoro da fare”.

Riguardo alla tipologia di rapporto di lavoro, l’86,9% del campione ha un contratto a tempo indeterminato, di cui il 70,3% full-time e il 16,6% part-time. Gli atipici, compresi i lavoratori a tempo determinato, sono il 13,2%. “Ma il dato che colpisce – chiosa il ricercatore – è l’esiguità estrema del numero di atipici con incarichi di rappresentanza, solo il 3,9%”.

Perché ci si iscrive

I motivi variano di parecchio tra i “semplici” iscritti al sindacato e chi ricopre anche cariche di rappresentanza. Facendo una media, al primo posto troviamo: “Perché ha un ruolo importante nell’affermare diritti e tutele per tutti” (42,3%); “Per tutelare i miei diritti come lavoratore (38%)”; “Perché fornisce servizi utili (11,4%); “Perché mi ha già aiutato a risolvere dei problemi” (8,3%). 

Come era prevedibile, fra gli iscritti senza cariche di rappresentanza, la tutela dei propri diritti in quanto lavoratori scavalca quella relativa ai diritti e alle tutele per tutti, mentre tra i non iscritti avviene il contrario. Ancora Leonardi: “Svolgere un incarico di rappresentanza rende più inclini, naturalmente, verso istanze di carattere valoriale e universalistico, rispetto a quelle più strumentali e utilitaristiche presenti soprattutto fra coloro che non sono iscritti al sindacato”.

Molto utile anche conoscere le motivazioni di chi non si iscrive: la quota più alta – il 29,3% – lo spiega con la mancata conoscenza dell’azione sindacale. “È un dato che deve far riflettere e che va utilizzato per migliorare la capacità di far conoscere il proprio impegno, le proprie attività – commenta il ricercatore –. Anche perché proviene da un campione per la maggior parte composto da luoghi di lavoro medio-grandi, sindacalizzati e dove spesso sono presenti delegati e contrattazione aziendale”.

Di notevole interesse anche, prosegue Leonardi, il fatto che “quanti imputano al sindacato un’inadeguata combattività sopravanza di quasi quattro volte coloro che invece ne lamentano un eccesso di antagonismo”.

Per contro, altro dato notevole che emerge dall’indagine è che, si legge nel report, “la rappresentanza e le assemblee nei luoghi di lavoro ricoprono un ruolo di primaria importanza nel saldare e nel rinnovare l’insediamento sindacale, e con esso i rapporti fra l’organizzazione e i lavoratori”. Anche la rete dei servizi è importante per intercettare il bisogno di tutela e di rappresentanza di un lavoro sempre più vulnerabile per la discontinuità dell’impiego, le complicazioni burocratiche e le differenziazioni del welfare.

Il ruolo fondamentale del contratto

Rispetto all’azione negoziale, il 62,8% indica nel contratto nazionale lo strumento principale: non era scontato in questi anni di attacchi alla contrattazione. Il dato più interessante, chiosa Leonardi, è che “non c’è alcuna differenza tra iscritti e non iscritti”. Per contro, il 42% del campione totale, e addirittura il 57,5% dei non iscritti, non sa indicare se nella propria azienda vide un contratto aziendale. Altro dato sorprendente è che oltre un terzo del campione chiede di rafforzare la contrattazione a livello europeo e internazionale. Evidentemente, si legge nel rapporto, “i rischi e i timori legati al dumping salariale internazionale e alle conseguenti delocalizzazioni si sono diffusi molto in questi anni”. 

Il salario prima di tutto

Ma cosa chiedono i lavoratori al sindacato di migliorare nei luoghi di lavoro? Al primo posto, e con grande scarto sul secondo, si colloca il tema dell’inquadramento e della retribuzione con la media 68% tra iscritti, non iscritti e rappresentanti sindacali. Al secondo posto c’è la formazione professionale (29,4%) e al terzo posto le stabilizzazioni). Seguono i carichi di lavoro (26%) e l’orario di lavoro (21,6%).  Nell’interlocuzione con il governo, al primo posto sta nettamente l’aumento delle retribuzioni: lo chiedono ben due intervistati su tre. Infine i servizi: in testa alle preferenze si piazzano l’assistenza legale nelle vertenze (45,1%) e l’assistenza per il reinserimento lavorativo (44,7%). 

Un focus: i metalmeccanici

L’inchiesta prevedeva anche dei focus realizzati con le singole categorie. È interessante vedere come molti dei dati generali vengano confermati. Ad esempio anche tra i metalmeccanici “fra le motivazioni di iscrizione al sindacato, quelle che potremmo chiamare ‘immediatamente utilitaristiche’, cioè la fornitura di servizi e la soluzione di problemi personali, registrano risultati minoritari: esse, infatti, considerate complessivamente superano di poco il 13%. La motivazione che registra il maggior numero di risposte è quella riferita al carattere generale del sindacato, inteso come soggetto collettivo che tutela e sostiene i diritti della generalità dei lavoratori”, ci dice Matteo Gaddi, sociologo del lavoro e ricercatore della Fondazione Sabattini.

Trova conferma anche il tema salariale che insieme a quello collegato dell’inquadramento è al primo posto tra quelli che si chiede di migliorare: siamo del resto, aggiunge il sociologo, “in un periodo segnato da pesante inflazione con la continua erosione del salario reale”. Il tema dei premi di risultato, su cui spesso si mette molta enfasi “sembra invece non essere ritenuto risolutivo del problema della mancata crescita delle retribuzioni, e come tale non è ritenuto prioritario dai rispondenti”, chiosa Gaddi.

Conoscere per migliorarsi

Tutto materiale molto utile per rendere il sindacato sempre più capace di intercettare le richieste di lavoratrici e lavoratori in questa complessa fase storica ma anche la conferma della direzione verso cui si sta procedendo. “Dalle risposte si ha l’ulteriore conferma che quella salariale è ormai una vera e propria emergenza nazionale – conclude Leonardi – e che quindi è stato giusto metterla al centro delle piattaforme programmatiche confederali e delle mobilitazioni di maggio sia sul versante contrattuale sia nel rivendicare col governo una riduzione strutturale del cuneo fiscale”.