Perché il salario dignitoso sia un diritto umano non negoziabile, ovunque. Perché entri come punto fondamentale nelle agende politiche di tutti i governi e di tutti gli Stati. Perché diventi un patrimonio comune e condiviso. Con questi obiettivi Clean Clothes Campaign, network globale composto da 234 organizzazioni, ha deciso di istituire una giornata mondiale dedicata a questo diritto, affinché ognuno di noi in qualsiasi parte del mondo possa avere una vita dignitosa e un lavoro senza sfruttamento.

Il 25 settembre è la data scelta per celebrarla in oltre 30 Paesi, il giorno in cui nel 2013 in Bangladesh le operaie tessili hanno protestato contro la prima fissazione da parte del governo del salario minimo, ritenuto troppo basso, dopo il crollo del Rana Plaza, il più grave disastro nella storia dell’industria della moda, e più di 100 lavoratrici sono rimaste ferite. Organizzazioni, sindacati, attivisti sono invitati a unirsi alla lotta e a dare avvio a un movimento globale affinché sia riconosciuto come diritto universale: senza salario dignitoso non ci sarà nessuna transizione giusta, solo quello è la base di uno sviluppo socio-economico veramente equo.

Cos’è il salario dignitoso?

Ma che cosa vuol dire avere un salario dignitoso? Significa avere una retribuzione base netta in grado di garantire al lavoratore e alla sua famiglia il soddisfacimento dei bisogni primari. Tradotto: poter pagare cibo, vestiario, trasporti, alloggio (affitto o mutuo, manutenzione ordinaria), utenze (elettricità, riscaldamento, acqua, ecc.), istruzione, cultura e tempo libero, spese mediche, vacanze. Si differenzia da quello minimo legale perché non si basa su valori di mercato, è legato alla dignità umana e non alla produttività.

Il metodo di calcolo

La metodologia di calcolo proposta da Clean Clothes Campaign si rifà al costo della vita e prende come riferimento per la retribuzione base una famiglia e non un individuo. Un salario dignitoso per una persona che lavora 40 ore a settimana nel 2024, quindi, dovrebbe essere non meno di 2.000 euro netti al mese, cioè 11,50 euro all’ora.

Dal report di Abiti Puliti

E i salari degli italiani?

Se questa fosse la soglia per l’individuazione dei bassi salari, in Italia avremmo tre lavoratori su quattro al di sotto, cioè con un reddito annuale netto inferiore ai 24 mila euro. Secondo un recente studio Cgil, sono 5,7 milioni i dipendenti che guadagnano in media meno di 11 mila euro lordi annui. E la fascia del lavoro a bassa retribuzione è ancora più ampia, con oltre due milioni di dipendenti con salari medi inferiori ai 17 mila euro.

Non solo. Nella metà delle famiglie in povertà relativa del nostro Paese c’è almeno un componente che ha un lavoro, ma non uno stipendio sufficiente a soddisfare i bisogni del nucleo. Senza contare che negli ultimi tre anni l’inflazione ha aumentato i prezzi al consumo del 17,3 per cento, spinta dai prezzi dei beni energetici e in misura minore da quelli degli alimentari, mentre i salari sono rimasti pressoché stabili.

E ancora. Stando all’ultimo report Ocse, nel primo trimestre del 2024 i salari reali degli italiani erano ancora inferiori del 6,9 per cento rispetto a prima della pandemia, mentre il nostro Paese ha registrato il maggior calo dei salari reali tra le maggiori economie.

Dal report di Abiti Puliti

Povertà lavorativa

“La povertà lavorativa è un fenomeno sociale complesso che va oltre la pura questione salariale e dipende da diversi fattori, individuali, familiari, istituzionali, e dalla configurazione delle catene globali del valore – si legge nel report di Abiti Puliti, la sezione italiana della campagna, dal titolo “Il salario dignitoso è un diritto universale. Una proposta per l’Italia, a partire dal settore moda” -. Per essere affrontata e aggredita nelle sue cause strutturali, sono necessarie misure diverse e complementari di politica economica e fiscale, di natura legislativa e contrattuale, a livello sia nazionale che internazionale”.

Tanti strumenti e misure

Nel rapporto si auspica l’attuazione di misure che potrebbero essere sperimentate a partire dal settore tessile, abbigliamento e calzature, per poi essere estese all’intera economia: l’introduzione di strumenti di integrazione e sostegno dei redditi da lavoro più bassi, il cosiddetto in-work benefit , l’avvio di un percorso pluriennale e graduale di riduzione collettiva degli orari di lavoro, a parità di salario dignitoso di base, in un’ottica di miglioramento della qualità della vita per i lavoratori.

“Il pagamento di salari dignitosi a tutti i lavoratori della filiera, diritto umano e sociale fondamentale, rappresenta un passo determinante - dichiara Deborah Lucchetti, coordinatrice della Campagna Abiti Puliti -, poiché obbligherebbe le aziende a produrre meno e meglio, con impatti potenzialmente positivi sul benessere dei lavoratori, sull’ambiente e sulla stessa economia. Si potrebbe così finalmente virare verso un nuovo modello di organizzazione di impresa più sostenibile, democratico e basato su un ripensamento dei tempi di vita e di lavoro”.