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La Camera vota e affossa la proposta di salario minimo a 9 euro l’ora. Con 153 sì, 118 no e 3 astensioni i deputati hanno infatti dato il via libera alla proposta di legge che era nata per iniziativa delle opposizioni, ma è stata snaturata dalla maggioranza attraverso la trasformazione in delega al governo in materia di "retribuzione dei lavoratori e di contrattazione collettiva nonché di procedure di controllo e informazione" e con l’eliminazione di fatto dei riferimenti a un salario minimo legale che la proposta fissava a 9 euro l’ora.
“Vergogna, vergogna”, ha urlato in aula l’opposizione, che ieri, dopo l’approvazione in commissione da parte del centrodestra di un emendamento della maggioranza interamente sostitutivo, ha unitariamente ritirato la firma dalla proposta di legge.
Dalla Cgil, impegnata a sostenere l’esigenza del salario minimo, il segretario generale, Maurizio Landini, già ieri aveva dichiarato che è “un errore grave quello che il governo sta facendo, scegliendo di non fare nessuna trattativa sul salario minimo. Il governo si è fatto votare una delega dal Parlamento addirittura per introdurre gabbie salariali, perché pensano che i salari debbano essere diversi a seconda del Paese o della regione in cui sei".
Il nuovo testo prevede che i decreti legislativi del governo definiscano "per ciascuna categoria, i contratti collettivi maggiormente applicati" per "prevedere che il trattamento economico complessivo minimo del contratto maggiormente applicato sia, ai sensi dell’articolo 36 della Costituzione, la condizione economica minima da riconoscersi ai lavoratori nella stessa categoria". Dovrebbero quindi essere estesi i “trattamenti economici complessivi minimi dei contratti collettivi, individuati in base al criterio di maggiore applicazione, a quei gruppi di lavoratori non raggiunti da alcuna contrattazione collettiva, applicando il contratto della categoria più affine".
Il provvedimento passerà ora al Senato, ma potremmo già dire che l’approvazione può essere considerata definitiva, visto il monocameralismo di fatto al quale è passato il nostro Parlamento negli ultimi tempi.