È arrivata in Italia in pullman nel 1999 con un permesso turistico, in compagnia del cugino dalla Moldavia attraverso la Polonia, l’Olanda, la Germania. Sette giorni per visitare il Belpaese, ma l’intenzione era di restare per lavorare. In Moldavia Elena Vidrascu faceva l’infermiera, ma guadagnava una miseria, 20 dollari al mese, troppo poco per una vita dignitosa, anzi troppo poco per vivere.

“In tasca avevamo solo due numeri di telefono – racconta -. Uno era di un ragazzo che stava a Rosarno e che ci ha dato una mano. Dopo tre giorni in Calabria ci siamo spostati in Puglia, a Borgo Mezzanone. Una notte alla Caritas e la mattina successiva un signore è venuto e ci ha caricati su un furgone, eravamo due donne e dieci uomini. Abbiamo comprato una tenda per dormire nei campi e iniziato subito a lavorare. Raccoglievo pomodori tutto il giorno, era massacrante, dalla mattina alle 4 fino a mezzogiorno e poi dalle 16 alla sera alle 10. Ci pagavano a cassa, dovevamo finire il campo il più presto possibile. Fino a quel momento non sapevo cosa fosse lo sfruttamento”.

Dopo i pomodori, è stata la volta dell’uva Italia, delle olive, dei carciofi, della potatura dei tralci a San Severo, fino a maggio del 2000.

“Guadagnavo bene, anche 3 milioni delle vecchie lire, erano tanti soldi, oro per me, spedivo quasi tutto a casa ai miei genitori. L’ho fatto per nove mesi, ho vissuto in tenda, ho fatto la doccia nei campi, nei campi andavo in bagno, la sera neppure mangiavo per quanto ero stanca. Col freddo hanno trasferito me e un’altra donna in un capannone. Poi sono scappata via. Non ce la facevo”.

Da donna Elena aveva paura. A 25 anni temeva di essere portata via, in strada, di essere venduta. E non sarebbe stata la prima vittima. “Sono andata al mercato di Foggia con una mia amica e ho sentito una donna parlare la nostra lingua – prosegue Elena -. Le ho chiesto di aiutarci e ho trovato lavoro come badante. Sono stata con una signora di 100 anni, per me era semplice dato che avevo fatto l’infermiera: basta avere pazienza e stare notte e giorno, ma ero sempre clandestina, non ero libera”.

Elena si è quindi trasferita a Mantova, le avevano detto che lì si guadagnava meglio come badante. Ed era vero. “Nel 2003 la famiglia per cui lavoravo mi ha messo in regola – ricorda -. È stata una liberazione per me. Mi sentivo la donna più felice del mondo, potevo camminare per strada senza paura di essere scoperta, ero libera, potevo essere come tutti gli altri, avere una vita dignitosa. Sono diventata visibile, da invisibile che ero. La prima cosa che ho fatto? Ho comprato una macchina. Grazie ad amici sono arrivata a fare l’operaia, quando hai il permesso di soggiorno puoi fare tutto”.

A gennaio 2004 ha iniziato a lavorare alla Mec Carni del gruppo Levoni, si è avvicinata al sindacato, è diventata delegata, Rsu, Rls e segretaria provinciale della Flai di Mantova. “Oggi sono cittadina italiana e ho un lavoro: mi ritengo molto fortunata”, conclude.