"Io mi considero una lavoratrice come tutte le altre, ma secondo me dovremmo essere pagate di più per quello che facciamo". F. fa la ballerina di lap dance. Ha iniziato negli anni Novanta, le piaceva ballare sul cubo in discoteca, fare animazione, quando le hanno proposto di fare spettacoli nei night club, si è detta "perché no?". Lei la considera una forma d’arte, ma "Io spettacolo non è aprire le gambe e far vedere le tette. Deve essere una cosa molto sensuale, bella da vedere. Invece adesso sono molto volgari, non c’è più divertimento". F. spiega che, nei locali dove lavora lei, vengono uomini dai 18 agli 85 anni, "finché ce la fanno. Un po’ di tutto". I più particolari sono quelli che vanno nei privé: "alcuni vogliono baciarti i piedi; altri vogliono che gli fai la pipì addosso, o li schiaffeggi. A qualcuno piace il seno, qualcun altro vuole essere calpestato. Ci sono un sacco di persone strane".
Secondo F. le condizioni di lavoro, negli ultimi anni, sono molto peggiorate, perché l’intrattenimento è diventato di scarsa qualità. Cita la legge del mercato, nello spiegare che i prezzi si sono abbassati e l’offerta è diventata più scadente. "In passato ci davano un buon fisso e avevamo anche le mance. Poi sono spariti entrambi e sono arrivati i privé". É questa la nota dolente, perché per legge il cliente non dovrebbe mai toccare la ballerina, però "quando tiri la tenda, ognuno fa quello che vuole".
Come ammette F., stabilire dei limiti sta un po’ al proprietario e un po’ alla ballerina, perché se tutto è concesso, il locale si riempie di prostituzione. "In passato, ballavi sulle pedane e i clienti ti mettevano i soldi nel reggiseno, nelle mutandine, nelle calze, nelle scarpe, in mano. Anche nei privé, all’inizio, facevi lo spettacolo e il cliente stava solo a guardare". Poi si sono “evoluti”: prima il topless, poi le mutandine, hanno cominciato a pretendere sempre di più. "Non è che siamo molto felici di queste cose, però cerchiamo di fare del nostro meglio. Io resisto, perché facendo i locali e gli spettacoli, più un altro lavoro di giorno, mi va bene arrotondare". Il vero problema, per F., è che vorrebbe che i suoi diritti di lavoratrice fossero rispettati come quelli di tutte le altre, come in qualsiasi altro posto di lavoro: "Noi abbiamo diritto alle ferie, ai permessi, a un fisso all’ora, come tutti gli altri. Abbiamo i nostri diritti e vogliamo essere tutelate. E invece negli anni è sparito tutto, non si sa perché".
La crisi del settore è cominciata da un pezzo e i “fulgidi” anni Novanta, quando i night club erano pieni anche nei giorni feriali, sono ormai tramontati. Ultimamente – racconta F.- si lavora solo nel fine settimana, mentre le sere normali arrivano massimo tra le quindici e le trenta persone. "Stai in sala in reggiseno e mutandine, aspetti il cliente, ti fai offrire da bere, fai consumazioni e cerchi di fargli fare privé, perché più ne fai e più ci guadagni". F. spiega che le cose sono molto cambiate rispetto a quando prendevano una retribuzione fissa. Ci sono i disco club, che fanno contratti a chiamata e a volte mettono anche in regola, ma la maggior parte sono club, per non pagare le tasse. Lì, nessun contratto: il cliente fa la tessera e le ballerine vengono pagate a cottimo, in base al numero di clienti che sono riuscite a portare nel privé. Per questo, secondo F., insieme alle loro paghe si è abbassata anche la qualità e le italiane che fanno lap dance sono ormai poche. Sono aumentate le straniere, invece, che in molti casi non scelgono questo lavoro, ma vi sono costrette da situazioni di disagio e vengono pagate molto di meno. Il dumping sociale è arrivato anche nei locali di lap dance, dove le italiane avevano un “costo” più alto e le serate erano strapiene. Ora il circolo è diventato vizioso, ma la colpa, a sorpresa, non è di Internet.
"La causa principale è stato il passaggio dall’euro alla lira, perché le ragazze così erano più care. Allora hanno cominciato a prendere quelle che costavano di meno. Solo che non facevano spettacoli belli, erano anche un po’ bruttine. La qualità è andata a scadere e quindi il cliente preferisce starsene su Internet, che vede anche meglio". Le italiane sono rimaste in poche e quelle nuove, secondo F., non sono molto “navigate”. Sono giovani, hanno bisogno di soldi, non trovano lavoro in giro e si “improvvisano” ballerine di lap dance. Ma non sanno cosa le aspetta, "pensano che arrivi lì, il cliente è gentile, ti offre da bere, sono ignare. Quindi stanno un po’ al locale e poi se ne vanno, perché non riescono a lavorare".
Se la crisi mordeva già da prima, l’emergenza Covid per le ballerine di lap dance ha significato smettere di lavorare, in molti casi senza alcuna forma di tutela, a causa di condizioni di lavoro ambigue e spesso in nero. "Adesso stiamo lavoricchiando, prima facevi sei giorni su sei, adesso uno o due. I locali hanno un po’ riaperto. Ci sono le restrizioni, ma in generale dentro avviene tutto come prima". Bisognerebbe, in effetti, avere molta fantasia per immaginare che nei privé si possa stare a un metro di distanza.
Prima dei saluti, arriva la domanda quasi di rito, forse scontata, se non abbia voglia di smettere, se non abbia mai chiesto a se stessa, almeno una volta, "ma chi me lo fa fare?". La risposta, lapidaria, restituisce la misura di quanto fosse effettivamente scontata la domanda. Meglio provare, allora, con un’altra. "Quando andrò in pensione? Intanto ci devo arrivare, vediamo se ci andrò - si fa una risata - comunque io sto già facendo un altro lavoro, quindi continuerò a lavorare. Non questo, ma magari altro".