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“Landini deve capire che il futuro è altro. Bisogna puntare alla produttività prima di parlare di aumenti retributivi”. Con queste parole – pronunciate nell’intervista apparsa il 31 maggio su Repubblica – il nuovo presidente di Confindustria Carlo Bonomi ha aperto le ostilità su un fronte che s’era capito non sarebbe stato dei più tranquilli: quello contrattuale. Un’affermazione che non sorprende più di tanto, sia a guardare la storia di Bonomi sia soprattutto a osservare semplicemente ciò che sta accadendo: i tavoli contrattuali sono tutti fermi, sono al palo 50 rinnovi che interessano oltre 9 milioni di lavoratori, molti dei quali hanno continuato a lavorare da “essenziali” anche in tempi del lockdown. Sono in stand by contratti importantissimi tra cui: metalmeccanici, alimentaristi, logistica, sanità privata e turismo, solo per citarne alcuni.
E poi, come se non bastasse, quella che è forse la stoccata più grave, corollario alla precedente: “Il contratto nazionale va ridotto – ha detto Bonomi –. Deve diventare una cornice esile per affidare al contratto di secondo livello, in azienda, un ruolo preponderante”. “Siamo alle solite, è una ricetta vecchia di vent’anni”, gli ha risposto oggi (1 giugno) sulla Stampa il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini. Che ha sottolineato: “La realtà è che non si è esteso il secondo livello, sono fioriti i contratti pirata e sono state fatte leggi che derogano ai contratti nazionali”.
Si potrebbe aggiungere che il Patto della fabbrica, siglato proprio con Confindustria il 9 marzo 2018, prevedeva che l’aumento legato alla produttività fosse contenuto in un “pezzo” del contratto nazionale.
Anche per Ivana Galli, segretaria confederale della Cgil e responsabile della contrattazione, “quelle di Bonomi sono ricette vecchie. Bisogna ribadire: mai come in questo momento il contratto collettivo nazionale è fondamentale, non solo per il salario, ma anche per il governo dell’organizzazione del lavoro, della sicurezza, della formazione, del ruolo degli enti bilaterali. C’è tutto un sistema, compresa la produttività, che dipende dal ccnl che dunque deve rimanere centrale”.
Quanto alla produttività di cui parla il presidente di Confindustria, dice Galli, “gli industriali dimenticano un fatto importante. E cioè che in questi anni, pur avendo ricevuto molte risorse, le imprese non hanno investito in innovazione, non sono riuscite a crescere in dimensione per competere adeguatamente sul mercato globale. Queste sono le cause delle difficoltà attuali: non certo, come dicono loro, il freno posto dai sindacati che sarebbero conservatori e ideologici”.
E poi non bisogna dimenticare che il contratto nazionale è l’unica autorità salariale in grado di comporre distanze e ingiustizie. “Se si spostassero gli aumenti interamente sul secondo livello come vorrebbe Bonomi, si creerebbero gabbie salariali, visto che la contrattazione integrativa la fanno solo il 20 per cento delle imprese. Il risultato è che si allargherebbero le distanze tra Nord e Sud, tra aziende piccole e grandi e dunque le diseguaglianze tra i lavoratori”, aggiunge la sindacalista.
Nè può passare, come sta accadendo in alcuni settori, denuncia Galli, “l’idea di rinnovare i contratti senza aumenti salariali, concedendo magari qualche benefit”. D’altra parte, impoverire una larga fetta del mondo del lavoro non converrebbe alla società nel suo insieme: come fa l’economia a ripartire se i lavoratori non hanno soldi da spendere? È un concetto keynesiano semplice semplice.
Non si può tralasciare, inoltre, in questa fase storica che potrebbe anche rappresentare un’occasione per cambiare quello che c’è da cambiare, il tema del lavoro nero e precario: “Le imprese continuano a reclamare risorse per affrontare la crisi – spiega la segretaria confederale della Cgil –, ma devono cominciare a porsi il problema del precariato e della qualità del lavoro. Se lo Stato ha dovuto impegnare tante risorse, a partire dal reddito di emergenza, è perché molti lavoratori erano nel giro dell’economia illegale e sommersa e dunque non avevano nessuno strumento di protezione che garantisse loro la continuità del reddito”.
Insomma, il tema dei rinnovi è centrale per tanti motivi: "Solo riaprendo i tavoli ci si può confrontare, ma è difficile dialogare con Confindustria se le trattative sono ferme e non si vogliono mettere soldi sui rinnovi", conclude Galli.