Novanta giorni senza retribuzione. Senza poter pagare le bollette, il mutuo, l’affitto. I 350 operatori per l’integrazione degli alunni disabili, per lo più donne, che a Brescia lavorano per due cooperative che hanno in appalto il servizio dal Comune, non vedono un euro da quando hanno chiuso le scuole: dal 24 febbraio. Aspettano un ammortizzatore sociale già magro, il fondo di integrazione salariale, che si aggira intorno al 60 per cento della retribuzione, che però non arriva. E in prospettiva, hanno davanti altri mesi senza un euro. Per questo, sono scesi in piazza davanti alla sede del Comune, con mascherine e distanziamento, per denunciare la loro situazione e chiedere soluzioni.
“In Lombardia le autorizzazioni del fondo di integrazione salariale hanno avuto dei forti rallentamenti, tanto che praticamente nessun lavoratore ha percepito finora qualcosa – spiega il segretario della Funzione pubblica Cgil di Brescia Giuseppe Vocale -. La causa sono le lungaggini burocratiche accumulate dalla Regione. Questi dipendenti sono coperti da nove settimane di Fis causa Covid previsti dal decreto Cura Italia, quindi fino al 27 aprile. E sebbene il decreto Rilancio abbia previsto un’ulteriore copertura, anche nei prossimi mesi non vedranno un euro”. Questo accade perché gli operatori per la disabilità hanno un contratto part-time ciclico, che viene “congelato” nei mesi estivi, quelli di chiusura delle scuole, nei quali non è prevista alcuna la retribuzione.
Con la ripresa delle attività scolastiche, riprende il contratto, il lavoro e la paga. Per i mesi di “buco”, invece, non c’è alcuna copertura: né Fis, né disoccupazione. Lavoratori che assistono bambini, ragazzi e giovani con disabilità, prestano servizio in alcuni casi anche da venti anni, ma che sono bistrattati. “Con il presidio vogliamo segnalare all’amministrazione comunale di Brescia il disagio che viviamo – afferma Maria Cristina Trento, delegata Funzione pubblica Cgil Brescia - chiediamo tutele per il futuro e chiediamo di internalizzare queste risorse, per non perdere il nostro capitale umano”.