La Casa internazionale delle donne di Roma è casa di tante associazioni e organizzazioni che quotidianamente la abitano, facendone luogo di confronto e di pratiche di genere per promuovere la libertà e l’autodeterminazione delle donne. Nel giardino della Casa, quando ancora il Covid non era sotto controllo, si riunirono tante donne dando vita all’Assemblea della Magnolia, lì per riflettere sul lasciato della pandemia.

Maura Cossutta è la presidente della Casa, ha firmato i referendum della Cgil e ha contribuito a raccogliere le firme. Spiega le ragioni della condivisione dei quesiti e si appresta a contribuire alla campagna referendaria.

Perché hai firmato i quattro quesiti proposti dalla Cgil?

Perché sono giusti, necessari. Questo è il momento di reagire, visto che stanno provando a toglierci tutte le conquiste degli ultimi decenni. E poi perché il lavoro è al centro della vita di tutti e soprattutto delle donne: il lavoro tutelato, sicuro, dignitoso, stabile, sono obiettivi da conquistare soprattutto per le donne. Lo sottolineo, il tema del lavoro è centrale per la vita delle donne, l'abbiamo visto con il Covid, ma sono sempre più le donne a essere le più povere, le più precarie, quelle che devono accettare il part-time obbligatorio.

È dunque necessario riprendere la mobilitazione…

Certamente, ma soprattutto serve un’analisi seria sugli errori che sono stati fatti rispetto al mercato del lavoro, rispetto alla cultura che non ha messo al centro l'analisi di genere e l'analisi sessuata dei diritti anche quelli ‘del’ e ‘nel’ lavoro. Alla nascita di un figlio circa il 60 per cento delle occupate lascia il lavoro, e quando non lo fa è comunque la donna a sobbarcarsi l’onere del lavoro di cura. i referendum servono non solo a modificare parti del mercato del lavoro, ma contribuiranno anche a cambiare il modo di pensare.

Lavoro di cura, lavoro produttivo, lavoro riproduttivo.

Esattamente, ponemmo la questione all’epoca della presentazione del Pnrr, il tema della occupazione deve ribaltare il paradigma sul quale si fonda la società. Occorre mettere al centro i bisogni di cura delle persone ribaltando le logiche del profitto e dello sfruttamento. I quattro quesiti si pongono lo stesso obiettivo: restituire dignità agli uomini e alle donne che lavorano, ribaltando la logica del profitto fondato sullo sfruttamento.

Il lavoro di cura è quasi esclusivamente scaricato sulle donne, rendendo quindi la presenza femminile nel mondo produttivo molto difficile. Siamo al paradosso che il primo governo guidato da una donna sembra voler affermare un modello femminile molto tradizionale, a casa a occuparsi di figli e anziani. Rischiamo di tornare indietro?

Assolutamente sì. Queste destre sono pericolose perché eversive, reazionarie, razziste. Ma soprattutto lo sono per le donne, perché esiste un connubio patologico e feroce tra politiche liberiste e politiche patriarcali. Da una parte si attacca il welfare, il sistema di protezione sociale, con l’obiettivo di restringere il perimetro pubblico. Dall’altro, si riafferma ulteriormente che la cura deve essere una responsabilità individuale delle donne, un destino biologico. Non è così, è una responsabilità collettiva, è la società, lo Stato, la politica che se ne deve far carico.

E poi c’è il tema della maternità…

Su questo c'è una retorica, un'ideologia pazzesca. Si parla tanto di ‘tetto di cristallo’ da superare, di aiutare le donne a conciliare lavoro e maternità, e s’introduce il bonus per il secondo figlio che è veramente un’indecenza. Se si mettesse davvero al centro delle politiche il desiderio, la libertà di scelta delle donne di essere madre, e non la costrizione, si capirebbe che lì c'è un muro, altro che tetto di cristallo.

Avere un lavoro stabile e non precario può fare dunque la differenza…

Fintanto che le ragazze sono precarie, non hanno stabilità, non hanno un reddito dignitoso, l’autonomia economica, è chiaro che la scelta di maternità non può essere realizzata. Le politiche per la natalità sono serie politiche per l’occupazione femminile, sono politiche salariali dignitose, sono politiche sociali. L’attacco alla 194, una delle attività preferite dalla destra, non c’entra nulla. I referendum, inoltre, sono importanti perché riportano alle conquiste di una stagione, quella degli anni settanta, che seppe tenere insieme diritti sociali e diritti civili. In quel decennio il movimento delle donne, quello studentesco, quello ambientalista e quello sindacale, seppero unirsi per raggiungere obiettivi importantissimi: dallo Statuto dei lavoratori al nuovo diritto di famiglia, dall’introduzione del Servizio sanitario nazionale all’approvazione delle leggi su divorzio e interruzione volontaria di gravidanza, dalle 150 ore per l’istruzione dei lavoratori e delle lavoratrici alla legge Basaglia. Ritorna l'importanza delle connessioni, dobbiamo stare insieme tutte connesse per combattere le diseguaglianze.

Tornando al welfare, i servizi alla persona, quelli per l'infanzia e per gli anziani, sono tipicamente luoghi di occupazione femminile. L’impoverimento del welfare, a cominciare dal taglio dei posti negli asili nido previsti dal Pnrr, è un ulteriore modo per ricacciare le donne a casa?

Assolutamente sì, e quello del Pnrr è questione rilevantissima. Alla Casa internazionale delle donne, insieme a tante associazioni, subito dopo la crisi pandemica abbiamo sottolineato che è inutile parlare di aumento dell'occupazione femminile quando nel Pnrr si privilegiano gli ambiti in cui le donne sono meno occupate, cioè quello delle infrastrutture materiali, mentre non si fa nulla, o quasi, sui servizi alla persona. Insomma il Pnrr, ancora più dopo le correzioni del Governo Meloni, è il tradimento dell’insegnamento che avremmo dovuto trarre dall’esperienza del Covid.

Il referendum è uno strumento tipicamente di partecipazione attiva dei cittadini e delle cittadine. Ci spieghi il legame tra partecipazione democratica, partecipazione delle donne e qualità della democrazia?

La partecipazione è un elemento fondamentale per garantire non solo il protagonismo femminile, ma anche che la parola pubblica femminile possa diventare parola politica. Io credo che anche il tema dell'astensionismo debba far riflettere: se non cambia la politica, se non cambiano i partiti, l’astensionismo non diminuirà. I cittadini e le cittadine sono sempre più esigenti, non è qualunquismo, è una sottrazione per rassegnazione, forse anche disperazione. Per le donne la partecipazione è stato uno strumento per conquistare diritti e la propria libertà. I referendum della Cgil possono essere, sia per i contenuti dei quesiti sia per lo strumento, passi sulla strada della riconquista della speranza che cambiare è possibile. Noi della Casa abbiamo firmato e contribuito alla raccolta delle firme, contribuiremo alla campagna referendaria anche con le nostre associazioni, ma soprattutto la Casa deve uscire dalle proprie mura e stare insieme agli altri e alle altre nei territori, lì dove sono esperienze e pratiche sociali. Soltanto insieme e interconnessi possiamo vincere questa battaglia.