In provincia di Monza e Brianza c’è chi licenzia nonostante il divieto. La Brugola Oeb di Lissone, storica azienda famosa nel mondo anche per aver inventato il bullone a testa cava esagonale, dopo aver sospeso la produzione a marzo in pieno lockdown, ha poi richiamato al lavoro tutti i dipendenti: tutti e 450 tranne 40, che sono rimasti in cassa integrazione Covid a zero ore, senza neppure la possibilità di fare una rotazione. Quindi, ha forzato la mano, ha convocato questi lavoratori a uno a uno per comunicare loro che non avrebbero fatto parte del progetto futuro della società e ha proposto a ognuno un’uscita, con accordo, incentivo, conciliazione. Senza i sindacati e senza rispettare la legge.  

 

 

 

“Queste cessazioni sono state fatte non solo in pieno divieto di licenziamento ma anche senza osservare le normative previste per i licenziamenti collettivi, e il conseguente coinvolgimento delle organizzazioni sindacali in rappresentanza dei lavoratori per trovare soluzioni anche alternative - spiega Stefano Bucchioni, di Fiom Cgil Monza e Brianza -. Anche nell’eventualità di dover ridurre la struttura, le norme a oggi lo consentono attraverso accordi collettivi con le organizzazioni dei lavoratori, le eventuali uscite devono essere volontarie, ma anche questo percorso è stato aggirato”. Eppure alla Brugola il lavoro non manca, tant’è vero che durante le festività natalizie non c’è stata chiusura aziendale, se non nelle giornate del 24 e del 31 dicembre, proprio per sopperire alle necessità produttive ed evadere gli ordini. E a quanto risulta, sono anche state fatte assunzioni in reparti in cui ci sono lavoratori sospesi in cassa integrazione e dove vengano svolti straordinari.

 

 

 

È un anno che vivo di stenti - ci racconta uno dei dipendenti che non è ancora rientrato in Brugola -. Chi ha famiglia e magari è monoreddito fa fatica a tirare a fine mese, tutti sappiamo a quanto ammonta la cassa integrazione. L’azienda continua a tenere in cassa sempre per gli stessi di noi, senza fare la rotazione. E dopo undici mesi difficili da sostenere, mi hanno chiamato. Pensavo, speravo che dall’incontro con il direttore emergessero buone notizie e invece no, mi sono sentito dire che purtroppo per me non c’era più spazio e mi offrivano un incentivo di un anno, in barba a tutte le regole”.

I colloqui li hanno fatti individualmente. E così qualcuno ha accettato, è andato via. Ma nessun sindacato ha firmato la conciliazione. Come se non bastasse, ai lavoratori sospesi e mai rientrati è stato chiesto di restituire il premio mensile previsto dall’accordo integrativo, che è stato trattenuto nel cedolino di dicembre anche superando il quinto dello stipendio massimo previsto dal contratto.

“Capisco quelli che sono usciti, una decina ci risulta, indotti a farlo per pochi soldi, per sollevarsi almeno momentaneamente dalla condizione in cui si trovano – conclude Bucchioni -. Gli altri però rivendicano il diritto a rientrare al lavoro, a fare la rotazione. Anche perché non puoi licenziare da una parte e poi aprire delle posizioni dall’altra. Chiediamo di rispettare i lavoratori, farli rientrare dalla cassa e di applicare, là dove ci fosse bisogno dell’ammortizzatore, la rotazione in maniera equa e senza alcun pregiudizio e di gestire con correttezza, buona fede e nel rispetto del principio della responsabilità sociale dell’impresa la dinamica del rapporto contrattuale e delle corrette relazioni sindacali”. Alla Brugola già accade quello che succederà con la fine del blocco.