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“Noi rappresentiamo i lavoratori in prima linea, che vivono tutte le contraddizioni e le difficoltà del mondo del lavoro in tempi normali, figuriamoci in questo frangente di emergenza e di pericolo. E siamo una categoria trasversale”. A parlare è Andrea Borghesi, da un anno e mezzo segretario generale del Nidil Cgil, Nuove identità di lavoro, il sindacato che rappresenta i lavoratori atipici e precari,somministrati, professionisti, partite Iva, collaboratori e disoccupati.
Come stanno vivendo la crisi sanitaria e l’emergenza Coronavirus i cosiddetti lavoratori atipici?
Oggi stiamo toccando con mano ancora di più le fragilità e le contraddizioni del mercato del lavoro in Italia, in tutti i settori, perché coloro che rappresentiamo sono negli ambiti di produzione più diversi: nella sanità pubblica e privata, nell’industria considerata essenziale, nel terziario e nel commercio anche quelli essenziali. Poi ci sono i lavoratori costretti a casa dalle chiusure delle attività stabilite dai decreti, e che oggi si trovano in condizioni critiche dal punto di vista del reddito. Persone che da un giorno all’altro hanno perso ogni possibilità di sostentamento, spesso senza che sia previsto nessun ammortizzatore.
Quanti sono i lavoratori interessati dalle conseguenze economiche della pandemia?
Parliamo complessivamente di milioni di lavoratori, solo 400 mila tra gli stagionali legati al turismo, centinaia di migliaia di partite Iva e collaboratori. I somministrati sono in questo momento quelli maggiormente tutelati, perché sono ricompresi negli ammortizzatori sociali classici quando il rapporto di lavoro è a tempo indeterminato. Quando invece si è in presenza di un contratto a scadenza, dopo non sarà certamente rinnovato, almeno per il prossimo periodo, e il rischio è che la situazione non si risolva in un mese. Ma poi ci sono tutti gli altri.
Quali?
Sono gli esclusi dagli ammortizzatori sociali classici, per i quali abbiamo spinto nelle scorse settimane affinché il governo se ne occupasse con sistemi di sostegno. Uno sforzo da questo punto di vista è stato fatto: 600 euro netti, che verranno dati a lavoratori autonomi, professionisti iscritti alla gestione separata dell’Inps, collaboratori sportivi che non hanno mai avuto una copertura previdenziale ma che di fatto non sono neppure considerati lavoratori.
Avete affermato che la misura non è sufficiente: non si può che essere d’accordo...
Un’indennità una tantum in questa come in qualsiasi altra situazione non basta. 600 euro netti non sono sufficienti se devono sostituire un intero reddito mensile: sfido chiunque a vivere con questa somma, ma d’altro canto comprendiamo la difficoltà di dover tenere insieme l’esigenza dettata da risorse limitate e quella di allargare la platea. È un primo segnale importante. Ma va fatto di più, allungando la durata e ampliando i beneficiari.
In che modo secondo te?
“Forse si potrebbe adottare un meccanismo più raffinato e intelligente, che sia legato al reddito precedente e magari per alcune tipologie anche alla relazione tra quanto il lavoratore è riuscito comunque a guadagnare e quanto ha perso nel periodo dell’emergenza. Poi occorre prevedere misure anche per tutti gli esclusi, che sono i collaboratori occasionali, i rider, quando non hanno partita Iva e non sono co.co.co., una tipologia molto a rischio, perché potenziali portatori e vittime di contagio: nei giorni scorsi abbiamo espresso grandi perplessità sul loro ruolo e sulle condizioni di sicurezza che nella maggior parte dei casi non sono garantite. Tieni conto che dopo un primo momento di grande lavoro, adesso l’attività del food delivery si sta riducendo. E se i lavoratori restano a casa, sono esclusi dal sistema dell’indennità. Il governo ha previsto una forma di reddito di ultima istanza, all’art. 44 del decreto 18: ebbene, riteniamo vadano ricompresi soggetti di questo tipo e i collaboratori occasionali.
Gli atipici lavorano in tutti i settori, rischiamo come gli altri ma hanno meno tutele. È così?
Sì. Prendiamo la sanità pubblica. Si contano 6-7mila somministrati, molti infermieri, operatori sanitari, che rischiano come i colleghi dipendenti, ma se hanno un contratto a termine la malattia copre sino alla scadenza, dopo scatta la Naspi, la disoccupazione. Negli ospedali e negli istituti di ricerca ci sono tantissimi lavoratori in collaborazione che operano nelle stesse condizioni di rischio del personale pubblico assunto. Ci sono i somministrati nei supermercati, tante cassiere, altra categoria a rischio continuo di contagio, e chi consegna a domicilio pacchi e merci.
Quali azioni sta mettendo in campo il Nidil Cgil?
Con le altre categorie, Filt, Fiom, Flai, nei settori molto esposti come quelli dei servizi essenziali, stiamo lavorando per una serie di rivendicazioni sul fronte della sicurezza e degli ammortizzatori sociali. Un esempio: se occorre sanificare gli impianti, i lavoratori che necessariamente devono stare a casa devono poter avere la cassa integrazione. Dall’osservatorio che abbiamo noi, sono gli ammortizzatori sociali necessari anche per gli atipici. Bisogna superare il differenziale di tutela tra lavoro dipendente e lavoro autonomo e immaginare strumenti pubblici più forti. Abbiamo anche attivato un servizio sui nostri social di domande e risposte, di contatto con i lavoratori che sono spesso dispersi sul territorio, operano da casa, non sono organizzati, ma hanno tanti dubbi. A loro diamo le prime informazioni per poi rimandarli alle presenze locali del sindacato. In questo modo siamo vicini anche se lontani, anche a distanza ci siamo.