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Il lavoro non può essere un rischio dichiarato. E neanche un ricatto ponderato. Il coronavirus è ormai entrato nelle fabbriche come in tutti gli altri luoghi di lavoro. Le mascherine sono insufficienti e comunque non smorzano la forza del contagio. Il metro di distanza è pura illusione. Come illusione è chi pensa di risolvere questa emergenza senza mettere sotto tutela prima di tutto i lavoratori. Tutti a casa, dunque, ma non proprio tutti. Non gli operai, da sempre gli ultimi di una pericolosa catena di montaggio che baratta il profitto con la salute. I sindacati lo stanno ripetendo in tutte le salse e continueranno a farlo finché l’emergenza non cesserà.
“O c'è la massima sicurezza o si sospendono le attività ricorrendo agli ammortizzatori per il tempo necessario a contrastare i rischi. Altre possibilità non ci sono”. È categorico il segretario veneto della Cgil Christian Ferrari annunciando che il sindacato “si opporrà anche con lo sciopero a chiunque pretendesse di far lavorare le maestranze in condizioni di pericolo”. La regola è chiara: per oggi possono riaprire solo le aziende in grado di mettere in massima sicurezza i lavoratori dal pericolo contagio. “Chi pensa di poter mettere impunemente a rischio i propri dipendenti si sbaglia di grosso - ripete Ferrari - Utilizzeremo tutti gli strumenti a disposizione per evitare abusi irresponsabili”.
Abusi irresponsabili un po’ in tutta Italia. Alla Magneti Marelli di Crevalcore, ex stabilimento del gruppo Fiat con 350 dipendenti, Fiom, Fim e Uil di Bologna hanno chiesto di chiudere entrambi i siti produttivi. Ancora stanno aspettando una risposta. Nell’attesa, fanno sapere i sindacati, “riteniamo indispensabile, per salvaguardare la salute dei lavoratori, proclamare due giornate di sciopero”. Stessa musica stonata a Termoli, dove gli operai dello stabilimento automobilistico Fca da questa mattina all’alba incrociano le braccia. Anche qui l’azienda fa orecchie da mercante. Come nelle Marche dove il numero degli stop nelle fabbriche si propaga di ora in ora. Elica, Electrolux, Thermowatt, Cnh Industrial, Ariston Thermo, solo pe citarne alcune. A Genova sono fermi i lavoratori ArcelorMittal perché, denunciano i lavoratori, "mancano certezze su misure a contenimento".
A livello nazionale Fim, Fiom e Uilm restano compatti e non arretrano di un millimetro. Fermi al documento unitario del 12 marzo in cui “ritengono necessaria una momentanea fermata di tutte le imprese metalmeccaniche, a prescindere dal contratto utilizzato, fino a domenica 22 marzo, al fine di sanificare, mettere in sicurezza e riorganizzare tutti i luoghi di lavoro”. Ribadiscono quindi di concordare fermate produttive “coperte” innanzitutto con strumenti contrattuali o con eventuali ammortizzatori sociali ove previsti dalla normativa; “in mancanza di ciò dichiariamo sin d’ora l’astensione unilaterale nazionale nell’intero settore merceologico, a prescindere dal contratto utilizzato”.