PHOTO
Negli ultimi dieci anni i contratti collettivi nazionali di lavoro si sono moltiplicati: da 551 che erano nel 2012 sono passati a 992 nel 2021. In pratica, sono cresciuti di 441, pari all’80 per cento. Una buona notizia, verrebbe da dire. Non esattamente. Anche se l’Italia è fra i Paesi europei con la più alta copertura contrattuale, con circa il 90 per cento dei dipendenti, già oggi superiore a quanto la direttiva in discussione indica come obiettivo per il futuro, la proliferazione di Ccnl a cui abbiamo assistito nasconde trappole per i lavoratori. Infatti, dei nuovi 441 contratti collettivi nazionali, solo 25 risultano sottoscritti dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, Cgil, Cisl e Uil.
È quanto emerge dalla ricerca realizzata dalla Fondazione Di Vittorio, che viene presentata il 3 maggio nel webinar organizzato con la Cgil “I contratti collettivi nazionali di lavoro: numero di contratti, lavoratori interessati, ruolo dei sindacati confederali”, in diretta streaming sul sito e sulle pagine Facebook e YouTube di Collettiva alle 10.30. Una prima tappa di approfondimento e indagine sul mondo della contrattazione, dei salari e delle tutele, che proprio a causa di questa straordinaria proliferazione è diventato sempre più complesso da scandagliare e da analizzare.
Tornando ai numeri, che i ricercatori hanno ricavato consultando le banche dati di Cnel e Inps: dei 992 contratti collettivi depositati al Cnel, solo 434 sono rilevati tramite Uniemens (sono solo quelli del settore privato, esclusi pubblico, agricolo e domestico). Di questi, 162 sono firmati da Cgil, Cisl e Uil e coprono circa 12,5 milioni di lavoratori, mentre 272 contratti sono sottoscritti da altre organizzazioni sindacali e regolano i rapporti di 387 mila lavoratori. Nel pubblico invece la copertura dei lavoratori dipendenti contrattualizzati è pressoché totale.
Come è possibile? “La moltiplicazione dei contratti collettivi nazionali, che interessa un numero esiguo di dipendenti, rappresenta un aumento dell’offerta delle regole che riguardano il rapporto di lavoro e può esercitare una pressione verso il basso sui salari e sulle condizioni lavorative stabilite nei Ccnl più consolidati e rappresentativi – spiega Fulvio Fammoni, presidente della Fondazione Di Vittorio -. La proliferazione anomala di contratti che abbiamo registrato in Italia non ha niente a che vedere quindi né con un’espansione della copertura contrattuale, poiché riguarda un numero di persone molto basso, né con migliori condizioni di lavoro. Piuttosto, risponde ad altri meccanismi tra cui la frammentazione e scomposizione del sistema di rappresentanza datoriale”.
Questo si lega a un dato davvero preoccupante: il tempo per il rinnovo dei contratti scaduti è aumentato tantissimo, anche per via della proliferazione contrattuale e moltiplicazione delle parti datoriali. Questo è un fenomeno strettamente collegato alla questione salariale in Italia. “Gran parte dei problemi sarebbero superati con la definizione di una legge sulla rappresentanza - conclude Fammoni -, che in un Paese con così ampia diffusione della contrattazione, rimane urgente e necessaria. La ricerca conferma il ruolo fondamentale della contrattazione collettiva a tutela dei lavoratori, smentendo i luoghi comuni di una contrattazione via via decrescente e rilancia la necessità di valorizzare ed estendere ulteriormente il ruolo e il grado di copertura dei Ccnl”.
Il webinar “I contratti collettivi nazionali di lavoro: numero di contratti, lavoratori interessati, ruolo dei sindacati confederali” è presieduto da Nicola Marongiu, coordinatore area Contrattazione e mercato del lavoro Cgil nazionale. Introducono i lavori Fulvio Fammoni e Nicolò Giangrande, ricercatore della Fondazione Di Vittorio. Sono in programma gli interventi delle segretarie confederali Tania Scacchetti e Francesca Re David.