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Ha un filo di voce, Flavia Finamore. Un timbro che si fa acuto e poi all’improvviso precipita verso il basso. Chiede quasi scusa, per la sua voce – “non è questa di solito” –, mentre è certa politica, la sua sciatteria così lontana dalla realtà, che dovrebbe chiederle scusa. Flavia ha 53 anni, precaria nella scuola pubblica da nove, tutti i titoli in regola dunque per il concorso straordinario pervicacemente voluto dalla ministra Azzolina in piena emergenza sanitaria. Tutti tranne uno: è malata di covid da due settimane; sta meglio, ma il malessere non passa e dunque il 5 novembre non potrà svolgere il suo esame. Né sono previste ad ora, nonostante la vertenza sindacale in corso, prove suppletive. Insomma, se ammalarsi non è una colpa, può tuttavia impedirti di usufruire di un diritto sacrosanto. Destino che tocca non solo a chi è ammalato, ma anche a tutti quegli insegnanti – e sono tanti – posti in isolamento perché venuti a contatto con un collega o uno studente positivo. Il tutto per un concorso in piena emergenza sanitaria e che non serve: i vincitori avranno la cattedra a settembre e quest’anno ci saranno almeno 200.000 supplenze per coprire i buchi prodotti dalle graduatorie sguarnite.
“Mi sono ammalata il 4 ottobre, sono a casa da un mese e continuano a rinviare il secondo tampone – racconta la docente di spagnolo e sostegno che al momento insegna in una scuola media dell’VIII municipio di Roma –. Ma anche se arrivasse in tempo e risultasse negativo, non sarei in grado di svolgere la prova. Grazie a dio non ho avuto i problemi più seri, quelli legati all’ossigenazione. Tuttavia, fatico a parlare, in queste settimane non sono riuscita ad aprire un libro. Questo virus ti annienta il cervello, non riesci a concentrarti, a trattenere nulla. È come soffrire di disturbi dell’attenzione”. Il che, sottolinea con ironia, “è un paradosso per una come me che lavora da anni sul sostegno con ragazzi che spesso hanno proprio questo problema”.
“Ho provato – aggiunge – a scrivere al Miur per spiegare la mia situazione. Sarebbe stato logico prevedere prove suppletive per chi è nella mie condizioni, anche d’estate; noi il concorso lo vogliamo fare, ma pare non sia possibile”. È un paese, il nostro, che sta chiedendo tanto ai suoi insegnanti e tuttavia spesso, a parte un po’ di retorica, sembra incaponirsi su cose che non sarebbe difficile risolvere. “È una situazione che mi amareggia – ammette l’insegnante –. Fino a che sono stata bene ho dato tutto per la mia scuola in una situazione difficile, una corsa continua a riempire buchi nelle classi senza insegnanti”.
“Ci sentiamo più tardi. Ora devo far fare i compiti ai miei figli, correggere quelli dei miei studenti e poi, forse, riuscirò a studiare per il concorso”. Lei è Francesca Alario, insegna lettere in una scuola media di Pordenone, una napoletana “andata al Nord per amore”, come ci racconta. È laureata, insegna nella scuola pubblica da sei anni e ora in piena pandemia è costretta a un concorso che dovrebbe essere straordinario – cioè un percorso agevolato per chi ha titoli di studio ed esperienza pluriennale – e che invece è stato complicato quasi come un concorso ordinario dall’ossessione meritocratica della ministra:
“Due ore e mezzo per preparare ben cinque unità didattiche e una prova di inglese – spiega – e senza tempo per studiare, tra lezioni, consigli di classe e collegi dei docenti”. Sempre che non succeda poi l’imprevisto che tutti temono: se un collega o uno studente risulta positivo scatta l’isolamento e dunque addio concorso. Anche Alario si chiede: “Ma perché il concorso non si è fatto in estate?”. E poi c’è la paura non solo per sé, ma anche per il fatto di poter diventare veicolo di contagio: “Conosco colleghi che per la prova dovranno spostarsi in Lombardia, in Liguria nel Lazio: ha senso tutto questo, considerando che le cattedre ci saranno solo a settembre”?
Anche Licia Ricci, che insegna sul sostegno in una secondaria di primo grado a Rocca di Papa (in provincia di Roma), si chiede se questo accanimento concorsuale abbia senso: “Lavoro in classe da cinque anni, sono laureata, ho una specializzazione sul sostegno per il quale mi sono formata, sono stata esaminata e selezionata, e ora mi si chiede di essere valutata ancora. Va bene, non mi tiro indietro e però mi chiedo. È così che si valuta il merito? Ha senso ora? In piena emergenza? Qualche volta si ha la sensazione che il vero obiettivo sia quello di farci rimanere precari”. Licia racconta che un educatore della sua scuola è risultato positivo: “Dal 26 ottobre lavoriamo tutti a distanza. Sono stata fortunata, rientro il 4 novembre e ho la prova il 6". Ma bastavano due giorni per essere tagliati fuori dalla prova. Una vera e propria lotteria, insomma.
E poi naturalmente c’è la paura. Anche di andare a scuola: “Per un’insegnante di sostegno mantenere la distanza non è facile, qualche giorno fa un ragazzo mi ha abbracciato: cosa potevo fare, allontanarlo? Non è possibile e però il paradosso è che, così facendo, ho contravvenuto alle regole. Considera che vivo con due immunodepressi in casa e uso sempre la mascherina”. Insomma, in una situazione così complessa e difficile da gestire pare veramente ingiustificato aggiungere un ulteriore elemento di preoccupazione come un concorso in presenza: “Confesso, a malincuore, di sentirmi un po’ usata. Il concorso non è una priorità, mentre la tutela della salute certamente lo è”.