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Nessuna apertura o passo in avanti nelle trattative. E così anche il tentativo di conciliazione previsto dal contratto – dopo la proclamazione dello stato di agitazione della scorsa settimana – è fallito. La scuola andrà dunque allo sciopero il prossimo 10 dicembre, così come annunciato nella conferenza stampa di oggi (24 novembre) da Flc Cgil, Uil scuola, Snals-Confsal e Gilda Unams.
Insomma, come scrivono i sindacati in una nota, l'amministrazione non ha fatto nulla “per cercare di dare risposte al personale della scuola rimasto senza atto negoziale per il rinnovo del contratto e senza risorse per aumenti a tre cifre come promesso dallo stesso ministro. A parte un insoddisfacente “cercheremo risorse”, che però non è sufficiente per fermare la protesta, visto che non vengono definiti “né capitoli di spesa, né possibili incrementi” e che “nessuna soluzione normativa, nemmeno a costo zero, viene presentata”, salvo un generico impegno a proseguire con gli incontri.
“Chiediamo ‘risorse’ e riceviamo ‘tavoli’. Servono segnali concreti non aperture di dialogo – hanno commentato i segretari delle organizzazioni – perché il dialogo con il ministro è sempre stato franco e aperto e non è mai stato interrotto, ma ora servono misure che diano valore alla scuola, dignità professionale al personale”.
Misure che in legge di bilancio non ci sono. Il che è grave perché nel Patto per l’istruzione, siglato la scorsa primavera, ben 21 punti erano dedicati alla centralità della scuola e si promettevano interventi – tra le altre cose – su stipendi, classi pollaio e stabilizzazione del precariato. Per Francesco Sinopoli, segretario generale della Flc Cgil, “questo sciopero segna un punto di svolta nei rapporti con il governo. Ma la responsabilità è tutta del governo stesso che ha fatto una scelta: disinvestire sulla scuola, così come è accaduto negli ultimi 15 anni, ma, a rendere questa decisione ancora più odiosa, dopo due anni di pandemia e con tutta la retorica sulla centralità della scuola pubblica”.
Nel proclamare lo sciopero, i sindacati hanno indicato cinque temi centrali. Il primo riguarda il rinnovo contrattuale. Servirebbero 350 euro al mese per adeguarsi alla media europea, ma in Finanziaria ce ne sono appena 87 più 12 euro per premiare una non meglio definita “dedizione professionale” e quindi neanche per tutti. Un linguaggio insultante, oltre la miseria dello stanziamento previsto, praticamente una mancia. Poi c’è la questione dell’organico covid, utilizzato durante la pandemia per garantire le misure di sicurezza nelle scuole e per sdoppiare le classi troppo numerose e che è stato prorogato solo per i docenti, escludendo quindi il personale Ata. Sul personale precario, e sulla necessità di stabilizzarlo come ci ricorda spesso anche l’Europa, nessun confronto è stato ancora aperto. Il Patto per la Scuola sottoscritto ad aprile contiene misure che vanno in tale direzione ma a questo Patto non è mai stato dato seguito.
Anche sulle classi troppo numerose non è stato previsto praticamente nulla così come su temi apparentemente tecnici, ma fondamentali per il funzionamento della scuola e la dignità delle persone. Le misure legate a situazioni professionali come quella dei dirigenti amministrativi facenti funzione, o attinenti al lavoro del personale come il blocco della mobilità per legge, invece che regolato per contratto, sono due esempi di misure che possono essere prese a costo zero.
Insomma: le ragioni per cui la scuola non ci sta – significative anche le occupazioni degli studenti in questi giorni – sono veramente tante. E quando non c’è dialogo, il conflitto resta l’unica risposta possibile.