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Se la voce del popolo è quella degli dei, i proprietari di Biancoforno sono come i padroni delle ferriere di ottocentesca memoria. Ma a Fornacette, piccolo centro della provincia pisana, i quasi duecento addetti della storica azienda di prodotti dolciari dopo trent’anni di vessazioni si sono ribellati. E alla fine sono riusciti a fare un’assemblea sindacale in azienda.
Una notizia. Perché Luca Lami, imprenditore di successo con la sua Biancoforno Spa, 55 milioni di fatturato di cui un terzo di export, verso Germania e Inghilterra soprattutto, e il fratello Franco hanno uno strano modo di concepire i rapporti fra proprietari e dipendenti. I 196 addetti – compresa una trentina di interinali con 10, 15 anni di anzianità di servizio senza mai assunzioni dirette – sono ancora costretti ad aspettare via whatsapp i turni di lavoro. Turni che poi non si sa quando finiscono, visto che è il caporeparto con una pacca sulla spalla a dare lo stop alla giornata, oppure a comunicare verbalmente che si deve continuare a lavorare ancora “per esigenze produttive”.
Natasha Merola, segretaria provinciale della Flai, è stata querelata e accusata dai fratelli Lami di averli insultati sui social. Una denuncia per giunta arrivata quando, grazie alla mediazione di Unionfood, era stato congelato uno sciopero indetto su una vertenza che riguardava anche altri aspetti poco chiari della vita quotidiana in azienda. Come, ad esempio, la storica indisponibilità della proprietà e del management a far svolgere, come da contratto, assemblee sindacali all'interno della fabbrica. Così, vedere le lavoratrici e i lavoratori in assemblea all’intero della Biancoforno è una notizia che rallegra, finalmente un po’ di dolce per chi ha ingoiato tanti bocconi amari.
In un piccolo paese si sa sempre tutto di tutti, e la fama di padroni senza troppi scrupoli dei fratelli Lami si era propagata nel tempo anche al di là del Comune di Calcinaia, in mezza provincia pisana. “Si riferivano a noi come a ‘quei poveracci’, scuotendo la testa”, confermano i lavoratori. “Poi aggiungevano: ‘Se sta bene a loro’…… Invece a noi non stava bene, per niente”.
Il resto è cronaca di ordinario sfruttamento, e soprattutto di un’organizzazione d’impresa che sembra rimasta al primo dopoguerra del secolo scorso. “A chi andrebbe bene fare l’interinale per 18 anni? - chiedono retoricamente le operaie e gli operai di Biancoforno -. A chi potrebbe andar bene conoscere il proprio turno di entrata il giorno prima, senza nemmeno sapere quando finisce? Chi accetterebbe di vedersi decurtate ore e ore di permesso senza un perché?”.
Non chiedono la luna, chiedono la normalità i dipendenti dell’azienda dolciaria di Fornacette. Una normalità che ad esempio permetta di andare a prendere i figli a scuola, programmare una visita medica, le vacanze, anche solo una cena con gli amici. Regole che si fermano fuori dai cancelli della fabbrica.
“Non è semplice liberarsi da una sudditanza durata decenni. Non è facile smettere di avere paura, e noi ne abbiamo sempre avuta tanta. Non perché siamo dei vigliacchi, perché in Biancoforno diventa un atto di coraggio anche solo iscriversi alla Cgil”. Il coltello dalla parte del manico è sempre di chi progetta un’organizzazione del lavoro di questo tipo, almeno fin quando non ci si ribella tutte e tutti insieme. “Se non hai nessuno cui affidare i figli, come si dice dalle nostre parti ‘sei del gatto’”.
Non è sufficiente neppure un contratto a tempo indeterminato per immaginarsi il futuro con maggiore tranquillità. “Qui il padrone è un padrone con la P maiuscola, di quelli che ti urlano addosso e diventi piccolo piccolo. Il coraggio non si compra al supermercato, e a noi questo lavoro serve, questo stipendio serve”.
Biancoforno, una piccola storia ignobile che diventa occasione di riscatto. “Noi siamo diversi - scrivono ora i delegati sindacali -. Noi non siamo come tanti, noi siamo noi. Noi siamo quelli della Cgil, che ci ha preso per mano e non ci ha più lasciato, che ha creduto in noi, che ci ha parlato di diritti, di coraggio, di solidarietà, di dignità”.
Una rabbia positiva che si trasforma in lotta per i diritti. “La vita è una e noi ne abbiamo già sprecata troppa, nessuno ce la darà più indietro. Si lavora per vivere, non il contrario. Ciò che conta è che la paura non ci ha fermato, e non potete capire cosa abbia voluti dire trovare tutti lì”.
Sono arrivati ai cancelli della fabbrica il segretario toscano della Flai Cgil, Mirko Borselli, quello della Toscana, Rossano Rossi, quello della Flai nazionale, Giovanni Mininni, insieme a Natascha, denunciata per aver detto come stanno le cose.
“Ci si salva e si va avanti se si agisce insieme e non solo uno per uno”, lo diceva Enrico Berlinguer. Così Paola, Fabio, Mattia, Lisa, Silvia sono diventati quelli della Biancoforno e ora possono fare assemblea in fabbrica, come succede nei luoghi di lavoro ‘normali’. “Questo primo punto a favore della nostra vertenza è frutto soprattutto della lotta e della determinazione delle lavoratrici e dei lavoratori dell’azienda, che sempre di più stanno dimostrando a tutti noi cosa vuol dire fare sindacato”, spiega una nota della Cgil. A questo punto resisteranno un minuto più del padrone.