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“Non permetteremo che nelle fabbriche si torni a prima degli anni ’70, quando non esisteva la democrazia nei luoghi di lavoro e, invece degli imprenditori, ci trovavamo a lottare contro i padroni delle ferriere". Le parole pronunciate dal segretario generale della Flai Cgil Giovanni Mininni durante il direttivo nazionale della federazione sono durissime. Un messaggio che assume un valore ancor più profondo alla soglia del termine del 31 marzo quando scadrà il blocco dei licenziamenti ma soprattutto all'indomani di due gravi episodi avvenuti a Roma e a Parma.
È lo stesso Mininni a ricordarli: “Nelle ultime settimane due episodi gravi, il licenziamento di lavoratori nostri iscritti, hanno fatto suonare un campanello d’allarme che non va trascurato: il compagno Nicola Comparato, licenziato dall’azienda Ferrarini, nello stabilimento di Parma, per insubordinazione e Safi Mohammed Said, lavoratore del panificio Grande Impero, anch’egli licenziato ma per aver preso un pezzo di pane”.
Mininni riepiloga la storia di Nicola Comparato denunciata dallo stesso lavoratore proprio su Collettiva.it “delegato della Flai, eletto con oltre il 51% dei voti dei lavoratori della fabbrica nella quale lavorava, è stato oggetto di una vera e propria rappresaglia da parte dell’azienda, solo perché aveva osato dire che non ce la faceva più a sottostare alle pressioni che, quotidianamente, l’azienda metteva in atto su di lui e sui lavoratori per obbligarli a sostenere una delle due cordate che potrebbero rilevare la Ferrarini, interessata da una procedura concorsuale. Nicola e i suoi colleghi chiedevano solo di rispettare il sacrosanto diritto a non essere coinvolti, come delegato e come lavoratori, in una vicenda complicata e delicata. Evidentemente – commenta il sindacalista – l’azienda e i suoi capi dimenticano che i lavoratori hanno il diritto di pensare con la loro testa, ma probabilmente in Ferrarini ciò è un reato. Ricordo l’episodio della lettera che, in occasione del referendum costituzionale del governo Renzi, proprio il Presidente inviò a tutti i dipendenti per invitarli a votare ‘sì’. Già allora si attuarono pressioni improprie sui lavoratori su un tema altrettanto delicato e non certo inerente all’attività lavorativa. Quando le cose si ripetono è molto probabile che ci sia proprio una cultura aziendale che porta a considerare i lavoratori di proprietà dell’azienda e non dipendenti”.
Non meno grave quanto accaduto nella capitale: “Safi Mohammed Said, lavoratore del Grande Impero a Roma è stato licenziato per aver preso un pezzo di pane, poco importa se destinato al macero o alla vendita, è chiara anche qui la sproporzione tra l’atto compiuto e la sanzione comminata e quindi la pretestuosità del licenziamento e l’azione intimidatoria che con questo atto si fa nei confronti di tutti gli altri lavoratori".