In Italia, circa 1,7 milioni di giovani tra i 15 e i 29 anni non studiano, non lavorano e non sono impegnati in un percorso formativo da almeno 6 mesi. Sono quelli che vengono definiti Neet: Not in employment, education or training. Tra il 2014 e il 2023, il tasso di incidenza in Italia per quanto riguarda i giovani tra i 15 e i 29 anni è sceso di circa 10 punti percentuali, dal 26,3% al 16,1%. Tuttavia, nonostante il miglioramento, il nostro si conferma essere ancora il secondo Paese nell’Ue con il più alto tasso di Neet, preceduto solo dalla Romania (19,8%), e lontano dalla media europea dell’11,7%4. Una fotografia molto accurata la restituisce il rapporto Giovani in Pausa, stilato da Cgil e Action Aid nell’ambito della campagna di comunicazione omonima, che negli scorsi mesi ha visto le due organizzazioni impegnate in una serie di attività con focus proprio sui giovani che vivono condizione di svantaggio. Lo studio si basa su dati Istat ed Eurostat relativi alle forze e al mercato del lavoro.
Dal 2021 ActionAid e Cgil collaborano sui temi delle politiche pubbliche rivolte alle giovani generazioni e, in particolare, ai giovani che non studiano e non lavorano da almeno 6 mesi, col fine di elaborare raccomandazioni specifiche sul tema. Nel 2022 era stato pubblicato lo studio Neet tra disuguaglianze e divari. Alla ricerca di nuove politiche pubbliche, un approfondimento dettagloiato dei dati istituzionali disponibili, con l’obiettivo di destrutturare l’ampia categoria, rilevando specificità e profili delle persone che compongono questo vasto universo. Gli acronimi, infatti, sono delle semplificazioni del linguaggio indispensabili alle scienze sociali per descrivere i fenomeni, ma che rischiano di congelare in immagini stereotipate una realtà molto più complessa e vivace.
Una parola può diventare dunque un’etichetta che non solo impedisce un approfondimento serio sul tema, ma getta anche uno stigma pesante su un’intera generazione. Migliaia di giovani vivono una condizione di disagio lavorativo ed esistenziale, e faticano ad uscirne anche perché imbrigliati in una definizione che li descrive passivi e, di conseguenza, inattivi.
Il rapporto di Cgil ed Action Aid, al contrario, prova a raccontare chi sono queste ragazze e ragazzi, analizzando le loro peculiarità: quanti anni hanno, da dove vengono e dove vivono, che titolo di studio possiedono, se hanno un background migratorio e se sono donne e uomini. Il genere, ad esempio, è certamente un discrimine importante che incide sulla condizione di Neet. Nell’ultimo decennio, la quota di donne è rimasta sempre molto alta rispetto a quella degli uomini, peggiorando nell’ultimo anno. Nel 2023 il tasso è aumentato di circa un punto, arrivando a sfiorare il 59% e confermando, da un lato, la loro maggiore difficoltà a uscire da questa condizione e, dall’altro, la miopia delle politiche attuate rispetto ai bisogni specifici delle ragazze.
Incidono poi le disuguaglianze legate ai divari territoriali (al Sud peggio che al Nord), mentre un peso importante ce l’hanno le politiche pubbliche adottate fino ad ora, di cui il policy brief fa un’approfondita disamina. Tra queste, la più nota è Garanzia Giovani che, secondo quanto emerge dai dati, non sembra sia riuscita a coinvolgere adeguatamente i giovani in condizione di vulnerabilità. Le risorse stanziate per la sua implementazione, inoltre, non sono state interamente utilizzate.
Garanzia Giovani ha contribuito a reintrodurre nel mercato del lavoro solo il 26% della popolazione Neet del nostro Paese. Una quota che però comprende prevalentemente giovani in una condizione di minore svantaggio, rispetto ai coetanei residenti nei territori del Sud o del Centro e con bassi livelli di istruzione. Per reintegrarli nel mondo del lavoro e della formazione, l’Italia ha avuto a disposizione 2,7 miliardi di euro del Programma Operativo Nazionale – Iniziativa Occupazione Giovani nel periodo 2014-2020, ma rischia di doverne restituire circa 1 mld per mancato utilizzo.
Nelle conclusioni, il report si concentra su alcune raccomandazioni rivolte alle istituzioni, in primis le regioni e il Ministero per le politiche sociali, al fine di imparare dagli errori del passato e invertire la rotta delle politiche pubbliche rivolte ai giovani.