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L’importante è fare presto: in ballo c’è la vita di un giornale glorioso che ha accumulato 133 anni di storia: La Gazzetta del Mezzogiorno - l’ex Corriere delle Puglie di fine Ottocento - profondamente radicato in Puglia e Basilicata, finito in gestione commissariale dall’ottobre 2018, a seguito dell’inchiesta giudiziaria per presunto concorso esterno in associazione mafiosa a carico dell'editore catanese Mario Ciancio Sanfilippo, dal 2000 azionista di maggioranza di Edisud spa, la società che controlla il quotidiano. L’indagine stravolge la vita della testata, pur totalmente estranea al merito della sentenza condotta dalla Procura etnea che chiede e ottiene il sequestro-confisca anche del pacchetto azionario della Edisud, oltre che della partecipata Mediterranea.
“All’improvviso, è come se fossimo stati investiti da uno tsunami – ricorda Gianfranco Summo, caposervizio economico della Gazzetta e membro del Cdr –. Una vicenda allucinante, dove gli scenari cambiano di continuo. Una sequela di situazioni una peggiore dell’altra”. Come quella che vede protagonisti i due commissari straordinari e l’azionista di minoranza, Valter Mainetti: il 19 luglio 2019, dopo nove mesi durissimi per il giornale - fallito di fatto -, presentano un piano di concordato basato su una garanzia finanziaria di 12 milioni di euro per far fronte a una massa debitoria di 44. La mossa nasconde un taglio del costo del lavoro tutto ‘lacrime e sangue’. Garante dell’operazione, la Banca popolare di Bari, con il compito di formare una cordata di imprenditori per il salvataggio del giornale. Piano naufragato in poche settimane, a seguito del fallimento della stessa BpB, finita in liquidazione il 13 dicembre scorso, con un crac finanziario da 1,6 miliardi. Nel febbraio 2020, il Cda, impossibilitato ad andare avanti, ritira l’istanza di concordato. “A quel punto la minaccia di chiusura è diventata reale e abbiamo cominciato a veder affiorare gli scogli verso cui era inevitabilmente diretta la nostra nave”, precisa Summo.
Una piccola fiammella di speranza si accende a fine marzo, dopo la sentenza di proscioglimento di Ciancio Sanfilippo con la restituzione dei suoi beni. “Ci siamo illusi che l'editore potesse occuparsi di nuovo del quotidiano – afferma Summo –. Ma siamo stati gelati dalla sua dichiarazione di voler liquidare Edisud. Per noi si è spalancato l’abisso sotto i piedi. In pratica, ci siamo trovati a bordo di una barca senza timoniere, in una situazione eccezionale e irripetibile, con i commissari impossibilitati a svolgere azioni ordinarie, in quanto non autorizzati né dalla legge né dall’azionista: un autentico cul de sac. Nella ‘tempesta perfetta’ è arrivato il Covid-19, che ha reso tutto ulteriormente più difficile. Abbiamo tentato di avviare interlocuzioni con imprenditori locali, ma senza esito alcuno”.
“A questo punto, il fallimento diventa inevitabile – spiega Alessandro Carrassi, delegato sindacale Slc dei poligrafici della Gazzetta – . Le entrate non soddisfano più le uscite. La via intrapresa è quella dell’esercizio provvisorio della testata, in attesa di un possibile acquirente, ipotesi sempre più remota, visto il quadro d’assieme. Ma a rischio c'è la stessa pubblicazione del giornale”. Anche perché, nel frattempo, la Gazzetta continua a perdere terreno (dopo aver toccato il fondo delle 16 mila copie durante la pandemia, oggi oscilla intorno alle 20 mila (negli anni Novanta si andava oltre le 100 mila) e tutte le manovre di ripianamento dei costi si sono rivelate inutili e in qualche caso controproducenti, come l’accorpamento delle redazioni territoriali (da otto a cinque), chiudendo quelle delle province di Bat (Barletta-Andria-Trani), Brindisi e Matera. Un’operazione scellerata – spiega Summo –, che ha suscitato le proteste di molti lettori, non essendo più garantita quella simbiosi tra giornale e territorio, che aveva alimentato la fidelizzazione del nostro prodotto a livello locale”.
Ogni giorno che passa, le cose si complicano. “Quella che stiamo vivendo è la fase finale di un processo che, come sindacato, abbiamo sempre sollecitato – sostiene Vito Battista, segretario Slc Cgil Bari –, ovvero la presentazione di un piano editoriale e industriale al passo coi tempi. L’azienda non lo ha mai fatto, né puntando al rinnovo del prodotto cartaceo, a una veste editoriale più moderna, a investimenti su digitale e nuove tecnologie, concentrandosi unicamente sulla riduzione dei costi del personale, che a lungo termine si è rivelata pesantissima”.
In virtù dell’accordo raggiunto il 30 novembre 2019, i 76 giornalisti superstiti (erano 200 venti anni fa), dei quali 51 a tempo pieno, si sono visti decurtare la paga del 25%, con l’azzeramento di competenze accessorie e buoni pasto, e senza più maggiorazioni per i turni straordinari. Ma ad essere particolarmente colpite sono le figure tecniche del giornale, come poligrafici, stampatori e amministrativi. “I nostri guai sono iniziati nel 2013 – precisa ancora Alessandro Carrassi –, quando l’azienda decise di ricorrere a contratti di solidarietà per contenere le spese. La nostra busta si è via via alleggerita, prima del 23%, poi del 33,3, infine del 50%. Personalmente, sono passato da uno stipendio di 2.200 euro, maturato in ventidue anni di anzianità, comprensivo di turni di notte, domeniche e festivi, agli attuali 1.200”. Sotto il profilo economico, per i lavoratori il peggio non sembra finire mai, in quanto il 31 dicembre prossimo scadranno tutti gli ammortizzatori sociali. “Già si parla di un rinnovo della cassa integrazione al 50% per altri cinque anni. E i nostri tanti sacrifici, fatti nell’arco degli ultimi sei anni, non saranno valsi a nulla”, aggiunge Carrassi.
Ad alleggerire la situazione occupazionale, una soluzione potrebbe arrivare dalla reiterazione della legge 416/1981 sull’editoria, con l’abbassamento dell’età pensionistica a 32 anni di anzianità (la cosiddetta pre-Fornero), che permetterebbe la fuoriuscita di gran parte delle figure tecniche (45 in meno, rispetto alle attuali 58). Il sindacato è favorevole anche alla creazione di una cooperativa per poligrafici e giornalisti, oltre al coinvolgimento del territorio attraverso un azionariato diffuso che inglobi istituzioni e soggetti privati. In ogni caso, il giornale non deve chiudere. “Sarebbe una sconfitta totale, perché in gioco c’è un pezzo di democrazia di un Paese libero. Tanti soggetti esprimono solidarietà alla Gazzetta, ma l’esito sarà positivo solo se si salveranno tutti i lavoratori”, conclude Battista.