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La situazione della sanità pubblica in Friuli Venezia Giulia è un grave problema: oltre un quarto di lavoratori sono sopra i 55 anni, manca il ricambio perché pochi vogliono lavorare oggi nel settore. La soluzione è una sola: investire sui contratti, le assunzioni e la formazione. Bisogna valorizzare il personale, le lavoratrici e i lavoratori, come passo fondamentale per il rilancio.
Questa la ricetta della Cgil Friuli Venezia Giulia, lanciata oggi 4 ottobre, nel corso di una conferenza stampa. Il sindacato regionale ribadisce con forza le sue richieste: aumento delle assunzioni, miglioramento delle condizioni lavorative e dei riconoscimenti economici, miglioramento del sistema formativo cui attinge il servizio sanitario, potenziando l’offerta e aumentando i posti disponibili nelle università.
Fermare la fuga dalla sanità
Bisogna creare le condizioni per rendere nuovamente attrattive le professioni mediche, infermieristiche e in generale il lavoro nella sanità pubblica, colpita negli ultimi anni da un esodo senza precedenti, testimoniato sia dal fenomeno delle dimissioni che dalla bassissima partecipazione ai concorsi pubblici. Sfide che i delegati della Funzione pubblica e della confederazione, riuniti a Udine per un attivo, lanciano anche alla Regione. A farsene interpreti Michele Piga, segretario generale della Cgil Fvg, e la segretaria regionale Fp Orietta Olivo, che hanno illustrato un documento sulle criticità del personale ele strategie per invertire la tendenza.
La leva della contrattazione
La contrattazione nazionale resta la leva fondamentale per migliorare le condizioni economiche e di lavoro del personale. “Non parte con queste premesse la trattativa per il Ccnl 2023-25 – spiega la Cgil –: quanto stanziato dal governo corrisponde ad aumenti del 5,78%, a fronte di un’inflazione che nel triennio 2020-22 ha superato il 15%. Uno squilibrio che penalizza il personale e non riconosce il valore del suo lavoro, in evidente contraddizione con quanto era stato dichiarato durante la pandemia”.
Ma esistono anche, per la Fp e la Cgil, sfide che chiamano direttamente in causa il ruolo della Regione e delle aziende sanitarie: migliorare l’organizzazione del lavoro, anche attraverso il confronto con le organizzazioni sindacali e le Rsu; potenziare i servizi territoriali; incrementare i riconoscimenti economici di carattere regionale; prevedere incentivi abitativi per il personale e borse di studio per gli studenti; aumentare la formazione di operatori socio sanitari.
“Solo con un intervento deciso e sistematico – si legge nel testo – sarà possibile affrontare le sfide future e garantire la qualità del servizio sanitario pubblico, tutelando il diritto alla salute dei cittadini”.
Il nodo degli organici
Sebbene il numero dei lavoratori del servizio sanitario regionale (20.662 a fine 2023) appaia in lenta ripresa a partire dal 2019 (19.926), la capacità operativa non consente di gestire le sfide quotidiane, dall’intasamento dei reparti di pronto soccorso alle liste di attesa. Un altro problema strutturale è l'età avanzata del personale: nel 2022 ben 3.880 dipendenti si trovavano nella fascia di età compresa tra 55 e 59 anni, e quasi 2.000 nella fascia tra 60 e 64 anni: oltre uno su quattro è over 55, quindi in forte difficoltà a gestire la pesantezza di turni e mansioni, a maggior ragione se si considera che oltre il 20% dei lavoratori presentano limitazioni fisiche o funzionali.
Nonostante il Fvg vanti un rapporto tra infermieri e abitanti superiore alla media nazionale (6,9 contro 5,1), si colloca al di sotto delle indicazioni Ocse (9,9 ogni 1.000 abitanti) e deve fare i conti con la fuga di personale verso il privato. Tra il 2020 e il 2023, oltre 2.000 operatori hanno deciso di lasciare. Negli ultimi anni, parallelamente, la partecipazione ai concorsi regionali è drasticamente diminuita: se nel 2018 alla selezione per 466 posti da infermiere avevano partecipato oltre quattromila candidati, nel 2024 se ne sono presentati solo 280, meno dei 340 posti disponibili.
TURNI PESANTI, STRESS, AGGRESSIONI
Sulla fuga e sulla scarsa attrattività del settore non incidono solo i bassi salari, ma anche la pesantezza del lavoro, che rende sempre più difficile la conciliazione con la vita privata di medici, infermieri e operatori. Le ore di straordinario sono passate dalle 400mila del 2014 a oltre un milione nel 2023, mentre le giornate di ferie non godute sono aumentate da 300mila a 410mila. Nel solo 2023, inoltre, sono stati necessari ben 27mila richiami in servizio durante i giorni di riposo per coprire le assenze.
Ad aggravare ulteriormente il quadro la piaga delle aggressioni: nel 2023, nella regione se ne sono verificate 483 (fisiche o verbali), di cui 445 hanno colpito lavoratrici donne. Tra queste, 225 aggressioni hanno riguardato operatori con più di 50 anni. Gli infermieri sono stati i più colpiti, con 365 episodi di violenza. L’aggravarsi del fenomeno, per Fp e Cgil, è anche un indice della frustrazione dei cittadini, “che non trovano nel sistema sanitario pubblico le risposte previste dalla Costituzione”. Per contrastarlo, più che un inasprimento delle pene, “ciò che serve davvero agli operatori sanitari è un ambiente di lavoro sicuro: la tutela delle professioni non passa infatti attraverso una logica punitiva, ma attraverso un migliore riconoscimento sociale ed economico del ruolo fondamentale del personale sanitario”.
La mancata integrazione tra ospedale e territorio
Secondo la Cgil un punto debole è l’integrazione tra ospedale e territorio. Esempio recente, si legge nel documento, è il corso regionale per infermieri di famiglia avviato un paio di anni fa, con l’obiettivo di formare circa 400 professionisti specializzati. “La formazione si rivolge principalmente a chi già lavora nel settore dell’assistenza domiciliare, che continuerà a svolgere le stesse mansioni, ma con un titolo diverso: un vero cambiamento si sarebbe visto solo con l’assunzione di 400 nuovi infermieri da destinare agli ospedali, per permettere a chi già lavora di spostarsi sul territorio con una corretta formazione”.
Fondamentale per l’efficacia dell’assistenza territoriale è il ruolo dei medici di medicina generale, liberi professionisti convenzionati con il servizio sanitario. Un assetto, questo, che il sindacato giudica non più sostenibile, sollecitando un’assunzione diretta da parte del servizio pubblico. “Riforma che ci auguriamo venga finalmente realizzata almeno per i medici di nuova formazione”.
Confronto con il sindacato
In generale, lo scenario attuale mostra una disaffezione verso le professioni sanitarie comune a tutto il Paese, ma anche l’assenza di strategie per trattenere chi è già assunto e attrarre nuovi lavoratori. “Il dato reale è di contrazione marcata tra medici e infermieri, indice di una carente programmazione da parte dell’amministrazione regionale, che crea gravi problemi nell’organizzazione delle attività sanitarie pubbliche – si legge infine -. Si cerca di compensare assumendo operatori socio-sanitari, che però hanno un ruolo diverso nel sistema sanitario, complementare ma non sostitutivo”. Insomma, occorre studiare nuove strategie: interventi che siano basati su un confronto con le rappresentanze sindacali e su un loro effettivo coinvolgimento nelle politiche sanitarie.