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Nella storia del movimento sindacale italiano, i punti più alti di unità fra Cgil, Cisl e Uil si sono sempre sviluppati, oltre che nel merito, durante le fasi di maggior ruolo delle forme di rappresentanza e di democrazia nei luoghi di lavoro. Ancora una volta – dunque – per realizzare passi in avanti possiamo attingere alla nostra storia e quindi, in occasione del 50° anniversario della nascita nel 1972 della Federazione unitaria Cgil, Cisl e Uil, una riflessione sul futuro non può prescindere dalle diverse stagioni dell’unità sindacale.
Si pensi alla fase più alta di unità sindacale, quella tra l’Autunno caldo e il 1972. Si tratta, a partire dal ruolo dei consigli, del frutto di una rinnovata spinta vertenziale e rivendicativa, che assume spesso nelle realtà produttive forme organizzative che andavano oltre le singole appartenenze. Una spinta che ha la sua base concreta e materiale nelle innovazioni del processo produttivo e nella risposta concreta fornita dai lavoratori in termini di piattaforme rivendicative e di organismi di base per la gestione di queste piattaforme. La fine della Federazione unitaria, alla metà degli anni Ottanta, vede interagire e operare anche altri fattori, ma è comunque fondamentale il progressivo affievolimento di quel “sindacato dei consigli” che aveva alimentato lo spirito unitario tra le confederazioni.
Lo stesso Patto di Roma, pur dovendo operare a partire dalla tabula rasa operata dal fascismo, si era già innestato su un retroterra di esperienze e dinamiche che avevano visto il mondo del lavoro unito e compatto aldilà delle appartenenze politico-culturali. Anzitutto la Resistenza, contraddistinta sia dal fortissimo protagonismo operaio che dallo spirito unitario espresso dal Comitato di liberazione nazionale e a livello di realtà produttive e aziendali, si guardi ai Cln aziendali – poi Consigli di gestione –, che rappresentarono significative esperienze unitarie: organismi attraverso cui i lavoratori dimostrano di saper prendere in mano le redini dell’attività produttiva anche a fronte del vuoto di potere e di autorità a cui conduce l’allora inerzia del mondo imprenditoriale.
Un reticolo di esperienze nelle quali la dimensione unitaria è rilevantissima fornendo così un elemento fondamentale alla Cgil unitaria che si stava costruendo. Sono due passaggi molto rilevanti da cui si evince come i momenti di più spiccata convergenza strategica e di azione del sindacato italiano abbiano coinciso con avanzamenti rilevanti dal punto di vista delle condizioni materiali e di vita dei lavoratori.
Se nella fase della rinascita sindacale la forza e il peso espressi da un movimento compatto e unito si traducono nell’influenza che questo esercita rispetto ai tratti e ai contenuti della carta costituzionale, contribuendo a qualificarla in senso socialmente avanzato, nel corso degli anni Settanta la centralità che la Federazione unitaria acquista nel sistema politico e istituzionale italiano sarà fondamentale, oltre che per tutelare i diritti del lavoro, ai fini del completamento del processo di costruzione del Welfare State italiano, riallineandolo al resto dell’Europa dal punto di vista degli istituti di cittadinanza sociale. Tutto ciò si è realizzato per le scelte e gli accordi realizzati dalle organizzazioni sindacali, ma ha avuto come elemento trainante la dinamica e il ruolo unitario delle forme di rappresentanza. È proprio grazie alla forza e al potere negoziale derivante da quella dinamica che fu possibile tutelare i propri interessi nelle vicende produttive quotidiane ma – soprattutto – far pesare il punto di vista del mondo del lavoro all’interno dei processi decisionali.
È la caratteristica del sindacato confederale italiano, una peculiarità in Europa da preservare nell’interesse del nostro paese, poiché ha sempre legato le grandi conquiste del lavoro ad un avanzamento generale dell’insieme della società. In un momento dunque in cui le prospettive di modello sindacale si confrontano, non solo è necessario e fondamentale il dialogo fra le organizzazioni confederali, ma anche un rinnovato ruolo della rappresentanza democratica dei lavoratori può – come sempre – favorire lo sviluppo della dinamica unitaria e la realizzazione degli obiettivi comuni proposti nelle piattaforme di Cgil, Cisl e Uil.
A tal fine, uno dei punti fondamentali non può che essere l’applicazione delle regole sulla rappresentanza da tutti sottoscritte. Le linee generali che vi sono fissate disegnano un sistema capace non solo di stabilire in maniera equilibrata e ragionevole i criteri della rappresentatività delle organizzazioni sindacali, ma soprattutto di tenere assieme i due principali canali di legittimazione – iscritti e voto dei lavoratori – all’interno del processo che conduce alla definizione e alla conclusione dei contratti, stabilendo un quadro chiaro e definito e rafforzando cosi il ruolo della contrattazione
Una legge sulla rappresentanza è un’esigenza ineludibile, ancor più a seguito della recente direttiva europea su questi temi. Ci sono diversità fra le organizzazioni e soprattutto difficoltà nelle associazioni di impresa, ma serve la necessaria volontà politica per superarle, come fu fatto per la conquista dello statuto nel 1970.
Il ruolo delle Rsu e delle Rsa e le loro modalità di costituzione sono un altro aspetto fondamentale. Per le Rsa si prevede una nomina sindacale, le successive Rsu prevedono il voto dei lavoratori. L’obiettivo è di superare questa diversità, fermo restando la necessità di una più ampia generalizzazione delle Rsu. In occasione dell’assemblea organizzativa della Cgil dello scorso febbraio, si è decisa una espressione di voto anche per i rappresentanti sindacali aziendali, almeno per quanto riguarda la Cgil, in modo da abbandonare definitivamente la pratica della nomina. È una proposta che, puntando a rilanciare gli aspetti di democrazia e di prospettiva unitaria, tende a ricongiungersi idealmente alle stagioni unitarie più alte della nostra storia sindacale come la Federazione Unitaria Cgil-Cisl-Uil.
Fulvio Fammoni, presidente della Fondazione Di Vittorio