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Il 16 giugno 1901, a Livorno, ha inizio il Congresso costitutivo della Fiom. “Alle ore 9 e mezzo di stamani, dalla sede della Camera del lavoro, preceduti dalla bandiera sociale, si partirono i delegati delle varie sedi venuti a Livorno per prender parte al primo Congresso nazionale degli operai metallurgici”, si legge su la Gazzetta livornese del giorno.
Giunti da ogni parte d’Italia, i delegati presenti nella sede della Fratellanza artigiana della città toscana, rappresentano 40 sezioni (altre 18 avevano inviato la propria adesione) e più di 18mila iscritti.
A tenere la relazione morale e finanziaria del «Comitato centrale di Propaganda» è chiamato l’operaio Aristide Becucci, mentre il primo segretario eletto è Ernesto Verzi, 29 anni, nato a Firenze, ma residente a Roma dove svolge l’attività di incisore di metalli (dimissionario sarà sostituito nove anni dopo da Bruno Buozzi).
Recita il primo articolo dello Statuto approvato: “Con deliberato del I Congresso nazionale tenutosi a Livorno il 16 giugno 1901 fu dichiarata costituita la Federazione italiana fra gli operai metallurgici (Fiom) o facenti parte delle Sezioni annesse alla Federazione”.
È l’inizio di una storia lunga e importante che prosegue ancora oggi. Sei mesi dopo la proclamazione della Repubblica, nel dicembre 1946, la Fiom tiene il suo IX Congresso e la Federazione italiana operai metallurgici diventa Federazione impiegati operai metallurgici raggiungendo 638.697 iscritti (il simbolo assume la sua configurazione attuale: l’incudine sparisce, alla ruota dentata - industria meccanica -, al martello - metallurgia - e al compasso - lavoro tecnico o di progettazione -, si aggiungono la penna - lavoro impiegatizio - e la sigla Fiom).
Le conclusioni del Congresso saranno affidate a Giuseppe Di Vittorio che all’inizio del suo intervento presenterà a nome della Cgil la candidatura a segretario generale di Giovanni Roveda, all’epoca sindaco di Torino, poi ratificata dal nuovo Comitato centrale.
A Roveda seguiranno nell’ordine Agostino Novella, Luciano Lama, Piero Boni e Bruno Trentin, Pio Galli, Sergio Garavini, Angelo Airoldi, Fausto Vigevani, Claudio Sabattini, Gianni Rinaldini, Maurizio Landini e Francesca Re David, prima donna alla guida delle tute blu in più di cento anni di storia.
Quattro di loro diventeranno segretario generale della Cgil nazionale (il numero sale a sei se di considerano Antonio Pizzinato e Susanna Camusso, segretario generale della Fiom milanese il primo, segreteria nazionale la seconda).
“Il tratto caratteristico della nostra storia - diceva in occasione del 115° anniversario l’allora segretario generale della categoria, oggi della Confederazione Maurizio Landini - è che, fin dalla nascita, abbiamo scelto di non essere un sindacato di mestiere né corporativo. Abbiamo scelto di rappresentare le persone: la nostra non è solo tutela del lavoro e non pensiamo il lavoro solo come mezzo di sopravvivenza, ma come strumento fondamentale per trasformare i luoghi di lavoro e la società. La Fiom vuole essere un soggetto sociale e politico”.
Un soggetto sociale e politico che abbia al centro la persona, con la consapevolezza - oggi come non mai - che ci si salva e si va avanti solo tutti insieme. È per questo che ricordare oggi la nascita della Fiom non serve soltanto per una indispensabile operazione della memoria.
Deve e vuole essere un modo per dire grazie a quelle operaie e quegli operai che tanto contributo hanno dato alla nostra Resistenza, a quelle tute blu che dagli anni Cinquanta al Natale in Piazza del 1960, dal primo al secondo biennio rosso, dal ventennio di Mussolini a quello di Berlusconi, dal 1901 a ieri tanto hanno lottato per i nostri diritti e per la nostra rappresentanza.
Qualche anno fa Giacomo Poretti, quello del trio con Aldo e Giovanni, pubblicava un’autobiografia sulla sua infanzia e giovinezza a Villa Cortese, un paesino dell’Alto milanese con quattro case, una chiesa e un oratorio.
“Cinque anni da operaio e undici da infermiere - scriveva - La mia famiglia si ammazzava in fabbrica. Portavamo con orgoglio la tuta blu sporca di olio e grasso, le mani nere anche il sabato e la domenica (…) C’è stato un periodo in cui indossare quella tuta blu sporca di olio e di grasso, tornarsene a casa alla sera esausto e cercare di lavarsi le mani che non venivano mai pulite per davvero, avere quelle mani ancora sporche di nero anche il sabato e la domenica, era un segno di orgoglio, un orgoglio che nasceva dalla povertà e che chiedeva dignità e risarcimento. Quell’orgoglio di indossare la tuta blu chiedeva alla vita di essere risarciti per averci fatti partire un quarto d’ora dopo il via”.
Nel 2018 si laureava la meno nota Angela De Marco, delegata sindacale della Fiom Cgil. Lo faceva indossando, sopra l’abito da cerimonia, il camice blu da operaia vestito per anni alla Zanussi di Pordenone, sfoggiando con orgoglio il simbolo delle migliaia di tute blu che, come lei e i suoi familiari (“Rincasando dopo dieci ore di fabbrica, mio padre ci prendeva in braccio: eravamo dieci figli e lui, stanco o no, era sempre presente. Perché a contare erano prima i sentimenti e poi le cose”), hanno contribuito a costruire la storia - non solo del lavoro - in Italia.
Angela è una delegata della Fiom, come delegato della Fiom è stato - e sarà sempre - Guido Rossa. “Sono un delegato dell’Officina centrale - diceva nel suo primo intervento al Consiglio di fabbrica - prendo la parola per la prima volta a questo microfono perché alle parole ho sempre preferito l’azione”.
Un’azione, tante azioni che da 120 anni la Fiom - e noi insieme a lei - continuiamo svolgere, con la consapevolezza di servire una causa grande, una causa giusta.
E allora Buon compleanno, giovane ragazza, tanti, tantissimi di questi giorni.