Si è conclusa ieri, 13 aprile, a Roma una iniziativa di due giorni organizzata da Fondimpresa, dal titolo “Il lavoro al centro”. Il fondo paritetico interprofessionale per la formazione continua dei lavoratori, istituito nel 2002 con l’Accordo Interconfederale sottoscritto da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil, ha dialogato con esponenti della politica – presente, tra gli altri, la ministra del Lavoro e delle Politiche sociali, Marina Elvira Calderone -, delle confederazioni sindacali, della Confindustria e del mondo accademico.
Tra le questioni al centro del dibattito, discussa anche nella tavola rotonda dedicata alle parti sociali con Christian Ferrari, segretario confederale della Cgil, Giorgio Graziani, segretario confederale della Cisl, Pierpaolo Bombardieri, segretario generale della Uil, e Maurizio Stirpe, vicepresidente per il Lavoro e le Relazioni industriali di Confindustria, la proposta di Fondimpresa di scorporare gli investimenti in formazione dagli aiuti di stato. Un punto di partenza importante anche per parlare della qualità del lavoro in questo momento nel nostro Paese.
“Sulla questione aiuti di stato e diritto alla formazione – ha detto nel corso della tavola rotonda Christian Ferrari, segretario confederale della Cgil – trovo importante che in sede di contrattazione collettiva le parti sociali, primi in ordine di tempo i metalmeccanici, ma non solo loro, si stiano ponendo due questioni fondamentali. La prima è la costruzione di un vero diritto soggettivo alla formazione, che oltre a rappresentare un’innovazione in termini squisitamente contrattuali, a mio giudizio rappresenta anche un salto di qualità sul piano della cultura sociale del lavoro. Poiché la formazione è un fattore strategico, il tema della formazione continua deve essere oggetto di confronto tra le parti.
La seconda questione fondamentale è l’attuale qualificazione come aiuti di stato di queste risorse pubbliche dedicate alla formazione, un tema, un nodo che viene sollevato e ovviamente va affrontato e sciolto innanzitutto a livello europeo.
È altrettanto chiaro – ha detto il dirigente sindacale della Cgil – che da un punto di vista concreto dei lavoratori uno dei problemi che continua a persistere è che al netto delle realtà più grandi, che poi si gestiscono con la propria academy, in non pochi casi sono le stesse imprese a non aver ancora pienamente assunto il valore strategico della sfida della formazione e della crescita professionale.
Altro aspetto da sottolineare quando si parla del ruolo della contrattazione collettiva e dell’obiettivo di affermare concretamente quel diritto soggettivo alla formazione che tutti consideriamo centrale, è quello della qualità del lavoro. La scelta chiara e di fondo, innanzitutto sul piano politico, deve essere quella di rimettere al centro un’idea e un modello di lavoro stabile e di qualità. Perché è del tutto evidente che è molto più facile, funzionale e coerente investire nella formazione in una condizione di certezza, di stabilità, di lavoro a tempo indeterminato, su un lavoratore inserito pienamente nel contesto produttivo, che farlo in una condizione - ahimè largamente diffusa - di precarietà, di lavoro discontinuo, di lavoro a tempo e di part-time involontario, che coinvolge soprattutto i giovani e le donne. Se sei precario la realtà è che non investe l’azienda e non investi neppure tu, data la condizione di incertezza. Questo ci dice due cose: da un lato dobbiamo rendere esigibile il diritto alla formazione a tutti, a partire da coloro, che poi sono quelli che ne hanno più bisogno, per i quali oggi è più difficile.
Dall’altro – qui mi riferisco anche alle imprese, alla politica e alla ministra Calderone – noi abbiamo bisogno di riaffermare il lavoro stabile, a tempo indeterminato, come standard, regola, principio prevalente. Oltretutto in una fase in cui, dopo due anni di super rimbalzo che pure ha prodotto poco lavoro, finalmente si iniziano a vedere dei primi, timidi, non strutturati segnali di inversione di tendenza, come questo rilancio del tempo indeterminato. Di fronte a questa situazione – ha concluso Christian Ferrari – sarebbe paradossale e profondamente sbagliato che la politica, anziché sostenere, rafforzare e lavorare per strutturare questi timidi segnali, li uccidesse sul nascere reintroducendo vecchie ricette come la deregulation completa del lavoro a termine. È l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno adesso”.