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Moriva cinquanta anni fa – il 15 settembre 1969 – Fernando Santi, antifascista, deputato, segretario generale della Camera del lavoro di Milano su designazione del Comitato di liberazione nazionale, segretario generale aggiunto della Cgil. Diceva Ferruccio Parri all’indomani della scomparsa: “Credo di essere tra i pochi italiani non socialisti che hanno avuto parte nella vita pubblica ad aver fatto amicizia con Fernando Santi fin dalla sua giovinezza. E ora che leggo della morte crudele nella sua Parma, devo far forza alla profonda tristezza del momento per non dar la stura ai tanti ricordi che risorgono ancor vivi, perche scritti nella memoria del cuore, dagli anni lontani del suo primo tempo milanese. Ricordi giustamente indifferenti ai lettori perché non è da essi che vien fuori la calda umanità dell’amico, la vivacità del suo spirito sempre all’erta, il suo gusto del discorso schietto semplice e diretto”.
Santi era riparato a Milano da Parma, dove le angherie e le violenze dei fascisti gli avevano reso la vita impossibile, specialmente accanendosi contro quel ragazzo coraggioso che aveva osato assumere la segreteria della Camera del lavoro provinciale. Sarà proprio la Cgil di Parma a ricordarlo il 15 settembre attraverso l’iniziativa “Il nostro Santi”, a cui parteciperanno Susanna Camusso, già segretario generale della Cgil, Diego Rossi, presidente della Provincia e Lisa Gattini, segretaria generale della Cgil di Parma.
Dirigente politico e sindacale di levatura nazionale, Santi rimarrà sempre legatissimo alla sua città, nella quale fu per diverso tempo consigliere comunale. Il giorno dei suoi funerali, a rendere omaggio alla figura del sindacalista scomparso, giunsero Lama (segretario confederale, non ancora generale della Cgil), De Martino, Pertini, Nenni. “È quasi impossibile, per uno di noi della segreteria della Cgil, ricordare l’opera di Fernando Santi – disse in quell’occasione Lama –. È troppo forte la commozione, la piena delle memorie e dei sentimenti, il ricordo delle lotte, delle speranze, delle delusioni sofferte in comune”.
“Nella primavera del ’47, ventidue anni fa, entravamo insieme nella segreteria confederale – proseguì –. Egli aveva ricoperto sino a quel momento, la carica di segretario della Camera del lavoro di Milano. Eravamo in un momento difficile nella vita sindacale e politica del Paese; l’epoca felice dell’unità antifascista, della lotta partigiana che aveva visto Santi in posizioni di preminenza stava per concludersi: cominciava il periodo delle rotture, delle discriminazioni politiche e all’orizzonte sindacale si annunciavano già le nuvole minacciose delle scissioni. A un anno da quel congresso, infatti, si verifica una prima scissione e qualche tempo dopo una seconda. Di fronte alla bufera che investiva la Cgil, che indeboliva l’unità dei lavoratori, Fernando Santi fu, con Di Vittorio, uno di quegli uomini che combatté con tenacia, con fermezza, con la forza della sua fede unitaria, ogni attentato all’unità della Cgil”.
Santi, gravemente malato, lascerà la Cgil solo nel 1965. Dirà lui stesso al congresso di Bologna: “Questo congresso è l’ultima occasione che mi è offerta per intrattenermi con voi. E non mi è facile parlarvi, dar corso cioè in modo adeguato ai sentimenti che in questo istante si agitano in me. Siamo stati molti anni insieme, fin dal lontano 1947. Insieme abbiamo camminato per le strade difficili, lottato e sofferto. Comuni ci furono le amarezze degli insuccessi e le gioie delle vittorie. Comuni ci furono e comuni ci restano le grandi attese ideali. In questo giorno di commiato, reso necessario dal fatto che le mie condizioni fisiche non mi consentono di far fronte con pienezza di forze alle fatiche sempre più impegnative della direzione confederale, voglio dirvi soltanto alcune cose. Non intendo infatti intervenire nel dibattito congressuale, per un dovere di elementare correttezza”.
“Non ho, d’altra parte, nessun testamento politico sindacale da affidarvi”, la sua precisazione. “Anche perché non sono morto, non intendo venire commemorato e tanto meno commemorarmi. Né posso, infine, presumere di prodigarvi esortazioni e insegnamenti particolari. Quel poco che benevolmente si dice e si dirà ancora per qualche giorno di me, per la mia attività alla Cgil in questi 18 anni che restano indimenticabili nella mia vita: il senso del dovere, la fedeltà alla causa dei lavoratori, l’attaccamento alla Cgil e all’unità sindacale e – aggiungo io – la stessa ansia e talvolta la disarmante certezza di sentirsi impari ai grandi compiti e alle alte responsabilità, lo devo sì alla mia fede di socialista e di sindacalista che mi accompagna dall’adolescenza, ma lo devo anche al vostro esempio, di voi che avete lavorato, lavorate, lavorerete in condizioni ben più difficili di quelle che si incontrano alla attività di direzione della Cgil”.
“La soddisfazione più grande – affermò Santi a chiusura del suo intervento – sarebbe quella di potere avere la certezza che un bracciante, un operaio, un lavoratore solo, nel corso di questi 18 anni abbia detto, pure una sola volta di me: è uno dei nostri, di lui ci possiamo fidare. Per potergli oggi rispondere: puoi fidarti ancora, compagno”. Gli risponderà anni dopo Bruno Trentin: “Nel 1965, al congresso di Bologna, Santi chiedeva, lasciando la Cgil, che si potesse dire di lui: è uno dei nostri. Ecco, era ed è uno dei nostri; lo resta oggi più che mai ed è più che mai oggi una guida per l’avvenire del movimento sindacale italiano”.
Ilaria Romeo è responsabile Archivio storico Cgil nazionale