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Partita la discussione sull’avvio della fase 2 in Emilia Romagna. Si è riunito, nei giorni scorsi, il Tavolo regionale del Patto per il lavoro a cui siedono, dal 2015, oltre alla Regione, i rappresentanti di categorie economiche, datoriali e sindacali, gli enti locali, le professioni, l’Università e il terzo settore. Insieme hanno condiviso un documento di proposte da presentare al governo (che ha la competenza sulle attività produttive e quindi su eventuali riaperture), per iniziare a pensare “come” poter uscire gradualmente dal blocco produttivo ed economico di queste settimane di chiusura.
Una sfida delicatissima per l’Emilia Romagna, regione che conta, ad oggi, circa 500mila lavoratori in cassa integrazione, un numero mai visto prima. “Ne va della tenuta sociale dei nostri territori. Il calo dei contagi sta funzionando, ma serve prudenza. Non vogliamo tutto aperto o tutto chiuso: dobbiamo portare avanti una ripresa governata”, afferma Vincenzo Colla, assessore regionale allo sviluppo economico. Obiettivo dichiarato quello di evitare che si passi dalla pandemia sanitaria alla pandemia economica. Per la riapertura occorre superare il controverso sistema dei codici Ateco, “riaprono quelle aziende che sono in grado di far lavorare i lavoratori in sicurezza. Una ripresa che convive con il virus”, da qui, non da meno, la necessità di maggiori fondi per la ricerca, per giungere quanto prima ad un vaccino.
La base della discussione da cui si parte è quella di sperimentare le aperture anticipate per alcune filiere internazionali (fra cui automotive e automazione, ceramica, moda, nautica), edilizia e costruzioni con riferimento alle opere pubbliche. E poi turismo, commercio e servizi alla persona (con imprese che vanno dalla micro-dimensione alle grandi cooperative). Ruolo dei Tavoli provinciali del Patto per il lavoro, all’interno della regia e del coordinamento del Tavolo regionale, quello di diffondere linee guida e protocolli di sicurezza dei luoghi di lavoro e di promuovere accordi tra parti sindacali e datoriali per implementare e garantire le misure di sicurezza in tempi rapidi e certi con un ruolo attivo nell’approvvigionamento dei dispositivi di sicurezza.
Da qui la richiesta all’interno del Tavolo, di Cgil, Cisl e Uil per una precisa definizione della gerarchia decisionale, di fondamentale importanza per evitare sovrapposizioni o conflitti di competenze. È necessario, afferma la Cgil Emilia Romagna, organizzare e mettere a sistema tutti i protocolli e gli accordi siglati tra imprese e parti sociali in materia di sicurezza, gestione e contrasto alla diffusione del Covid-19. Di fronte alla discussione sulla fase 2 occorre “riorganizzare complessivamente il sistema di produzione e di erogazione dei servizi”. “È chiaro - afferma il segretario generale della Cgil Emilia Romagna Luigi Giove in un’intervista rilasciata ai microfoni di Radio Bruno - che il virus ha abbassato la testa, ma noi non possiamo abbassare la guardia. Abbiamo bisogno di garantire che alla ripresa delle attività produttive vengano mantenuti alcuni requisiti di distanziamento tra le persone: rimodulazione degli orari, maggiore disponibilità all'utilizzo dello smart working e, soprattutto, avere a disposizione dispositivi di protezione individuali”.
Altro aspetto fondamentale è quello dei controlli: la proposta della Cgil regionale è quella di “replicare lo schema post sisma del 2012 in Emilia Romagna: costituire cioè un gruppo con le forze dell'ordine e con gli enti di vigilanza che verifichino cosa effettivamente avviene nelle imprese”, mettendo in piedi anche “un regime sanzionatorio: piuttosto che avere i posti di blocco della polizia per le strade a controllare la gente, forse sarebbe più interessante mandarli a fare delle ispezioni nelle aziende per capire come la gente sta lavorando”.
Ma se le aziende e le attività produttive in qualche modo ripartiranno a breve, rimane l’incognita scuola, quasi sicuramente chiusa fino a settembre. Ciò comporta l’aumento della difficoltà in cui si troveranno le lavoratrici e i lavoratori con figli. “È evidente - sottolinea ancora Giove - che i 15 giorni di congedo parentale non sono sufficienti. Sono necessari strumenti molto più robusti per garantire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”. È necessario “garantire congedi parentali a tutti coloro i quali lavorano in famiglia e non hanno la possibilità di collocare diversamente i loro figli, perché qui non ci sono solo le scuole chiuse ma molto probabilmente anche i campi estivi saranno chiusi, quindi avremo che fare con mesi nei quali sarà difficile organizzare la propria vita”.