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Il giorno della verità è giovedì 18 gennaio. In quella giornata, infatti, è previsto il nuovo incontro tra Electrolux e sindacati sugli esuberi annunciati dalla multinazionale degli elettrodomestici: 3 mila licenziamenti a livello globale, concentrati soprattutto nel personale impiegatizio, con una ricaduta sull’Italia ancora non quantificata, che sarà appunto resa nota all’inizio del nuovo anno.
Un piano di riorganizzazione dovuto al calo del mercato europeo: nel 2022 il decremento è stato del 12,8%, mentre nei primi nove mesi del 2023 è stato del 7,1%. Il calo, dovuto a un contesto segnato da alta inflazione, alti costi delle materie prime e forte concorrenza asiatica, ha avuto un impatto negativo sui conti della società svedese, con un Ebit (ossia il margine prodotto dall’attività senza considerare oneri finanziari e imposte) sotto le aspettative.
Anche per il 2024 le prospettive, nonostante il gradimento dei consumatori e i buoni risultati sul tema dell'impatto ambientale di siti e prodotti, non segnalano una ripresa significativa. L’obiettivo aziendale è dunque quello di risparmiare 900 milioni di costi nel 2024, da qui la decisione di avviare i 3 mila esuberi.
La posizione dei sindacati
“La strategia della multinazionale consiste nella riduzione dei costi e della complessità, nella focalizzazione degli investimenti sulle architetture di prodotto e sui marchi maggiormente profittevoli, nella prosecuzione di sviluppo di nuovi prodotti”, spiegano Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm Uil nazionali, rimarcando che “vengono comunque confermati gli investimenti, soprattutto sugli stabilimenti di Solaro e Susegana sui quali si sono fatti importanti accordi per i processi e i nuovi prodotti, e che già nel 2023 hanno visto significativi lavori e implementazioni come previsto in origine”.
Il piano di ristrutturazione presentato ai sindacati il 30 novembre scorso, che prevede circa 3 mila esuberi a livello globale, avrà una ricaduta anche sull'Italia non ancora quantificabile. “I nuovi esuberi – riprendono i sindacati – si concentreranno per l'Italia sul personale indiretto di produzione, quindi prevalentemente sugli impiegati, giacché autonomi piani di riorganizzazione sulle fabbriche erano già stati lanciati negli stabilimenti nel 2023 per fronteggiare i cali di produzione”. A temere di più è l’impianto di Porcia (Pordenone), l'unico in Italia dove il numero degli impiegati è maggiore di quello degli operai
Di conseguenza, i nuovi esuberi fra gli indiretti si sommeranno a quelli residui dei piani precedenti, quantificati dalla multinazionale svedese in 240 lavoratori. Di questi, 163 riguardano gli stabilimenti di Porcia e Forlì, dove attualmente sono attivi contratti di solidarietà che però scadranno nel giugno prossimo. “Electrolux – aggiungono Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm Uil – ha anche dichiarato la volontà di non ricorrere a licenziamenti forzosi, ma di concordare col sindacato strumenti non traumatici di gestione delle eccedenze”.
I sindacati metalmeccanici hanno apprezzato “questa disponibilità di principio”, ma denunciano “la cattiva gestione degli accordi negli stabilimenti, a causa di un atteggiamento aziendale unilaterale e sordo alle difficoltà dei lavoratori”. Di conseguenza, hanno chiesto “di definire a livello nazionale meccanismi di confronto locali ricorrenti e trasparenti, nonché di adeguare i loro comportamenti pratici alle enunciazioni teoriche”.
Sono numerose le questioni su cui si esige una risposta: i miglioramenti delle postazioni, l'inserimento di lavoratori sulle linee, l'applicazione di automazione e di cadenzatori previsti dagli accordi, la creazione di postazioni idonee per i lavoratori con ridotte capacità lavorative, l'adeguamento degli impianti, l'utilizzo equo degli ammortizzatori sociali, il conteggio corretto delle uscite secondo gli accordi anche nel personale impiegatizio.
Il 18 gennaio, concludono i sindacati, è in programma “un ulteriore incontro nel quale Electrolux dovrà dare i numeri delle ricadute nel nostro Paese delle eccedenze dichiarate a livello mondiale. La sfida della sostenibilità deve avere non solo il tema del costo del prodotto, ma anche quella della sostenibilità sociale e del massimo consenso possibile”.